“Inside the world toughest prisons” ci mostra le allarmanti condizioni delle carceri nel mondo

Il tema relativo alle condizioni delle carceri, in Italia e all’estero, è sempre molto delicato e divisivo. Vediamo come lo affronta Inside the world’s toughest prisons.

Non è neanche da dire: sappiamo tutti che il sistema penitenziario è, per usare un gentile eufemismo, da riformare. Già nel 1995, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ci ha bacchettati, dopo un sopralluogo in alcune carceri. La condanna, però, è scattata solo nel 2013, con la tristemente celebre sentenza Torreggiani: i detenuti del Bel Paese subiscono, ogni giorno, un trattamento inumano e non dignitoso. Tutto ciò ha portato a poche migliorie, ma, almeno, ci ha regalato la legge contro il reato di tortura, nel 2017. Ma se esistessero delle forme legittimate di tortura ancora oggi?

Inside the world’s toughest prisons

Una serie tv che è anche un documentario, giusto quattro puntate di nemmeno un’ora a stagione. E, per rendere ancora più interessante il tutto, c’è un ex carcerato che prova a vivere nelle prigioni più pericolose del mondo per una settimana. Brasile, Filippine, Messico, Ucraina e chi più ne ha, più ne metta. E’ un programma che prende, che ci pizzica con la curiosità, quella per il macabro, della Schadenfreude. Funziona sempre.

Il carcere duro

Nel nostro codice penale, esiste, oltre al 4 bis, anche un altro articolo particolarmente discusso e pesante: parliamo del famoso 41 bis, meglio conosciuto come il carcere duro. Alla sua nascita, doveva essere riservato esclusivamente alla gestione immediata di un’emergenza nel penitenziario, giusto per dare il tempo al personale di sorveglianza di ripristinare l’ordine e la sicurezza. Dopo la strage di Capaci, però, questo articolo assume un valore e una forza che ancora oggi mantiene: come già detto, viene usato, attualmente, per reati legati al terrorismo e alla criminalità organizzata. Nel 1995, sia la CEDU, che Amnesty International si sono dichiarati contrari a tale pena, che, oltre ad essere inumana, porta i sottoposti a una situazione di possibile infermità mentale: è una tortura legittimata dal sistema giuridico italiano.

Il 41 bis

L’applicazione dell’art. 41 bis al regime detentivo porta a una grave limitazione dei diritti del carcerato, con la sospensione di garanzie e di istituti comportamentali. Queste restrizioni vengono prese, fondamentalmente, per evitare la comunicazione e il passaggio di informazioni fra l’esterno e il penitenziario. Per esempio, il detenuto vive in una condizione di isolamento totale e di sorveglianza costante, in ali specifiche e riservate del carcere. E’ ammesso un solo colloquio al mese con i familiari, separati, però, da un vetro per tutta la durata della visita; la cadenza è mensile anche per le telefonate, che devono effettuate, da parte della famiglia, dal carcere più vicino (il tutto viene video-registrato). La posta viene controllata, sia in entrata, che in uscita; non sono ammessi libri, giornali e penne, così da evitare eventuali messaggi tra il territorio e il detenuto. E’ ammessa un’ora d’aria al giorno, in un cortile interno, da passare insieme a un altro condannato con il 41 bis. E, rullo di tamburi, non è prevista nessuna attività trattamentale, che siano corsi di formazione, o aiuto psicologico. A voi la parola: misure di sicurezza necessarie o forme di tortura legale?

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