Cosa si intende per guida autonoma, quali sono i pro e i contro e quale atteggiamento ha la società?
I prototipi per autoveicoli a guida autonoma si moltiplicano e migliorano costantemente e pare che lo stesso accada per l’opinione pubblica.
Un concetto secolare si sposa con il progresso tecnologico
Quando si pensa alle ‘auto che si guidano da sole’ di solito si pensa a qualche congegno ipertecnologico, con display, ologrammi, un design minimalista… ma in realtà la possibilità di possedere un’auto che ci scarrozzi senza richiedere sforzi fa gola alle aziende automobilistiche già dall’inizio del secolo scorso. Non è un caso se la cultura di massa può datare un primo esempio globalmente conosciuto, seppur proveniente dalla finzione cinematografica, nel 1968: più di cinquant’anni fa usciva, infatti nelle sale, il film ‘Un maggiolino tutto matto’ (titolo originale The love bug). Nel film, che conta cinque fra sequel e serie spin-off, il protagonista è Jim Douglas, un pilota in declino che torna in pista proprio grazie a un Maggiolino Volkswagen che è in grado di spostarsi da solo. Il film accrebbe la notorietà del modello di auto, oramai leggendario nel panorama delle vetture storiche, e probabilmente fece anche rinascere l’interesse verso lo sviluppo di auto più autosufficienti. Prima di quell’anno, si ricordano alcuni esperimenti degli anni ’20 e ’30 che riguardavano auto guidate da remoto con segnali radio o che interagivano tramite sensori posti lungo la strada stessa. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, poi, il mercato vive lo sviluppo dei sistemi di cruise control fino alla fine degli anni ’80. E’ nel 1994 che Mercedes-Benz, aiutata dall’ingegnere Ernst Dickmanns con cui già aveva lavorato su progetti simili, mostra al mondo Vamp e Vita-2, una coppia di veicoli che si dimostrò in grado di percorrere circa 1000km in autonomia lungo un’autostrada di Parigi. Nel nuovo millennio la ricerca vive il suo boom, grazie alla risonanza mondiale dei progetti di grandi società come Tesla o Google, con il progetto Google car, e alla fervente partecipazione di Università e start-up, nonché al supporto ricevuto dai governi.
Fare chiarezza attraverso sei livelli
Innanzitutto, bisogna distinguere tra guida assistita e guida autonoma. Nel primo caso, il veicolo fornisce aiuto al conducente attraverso segnali luminosi come spie, pannelli analogici o digitali e segnali acustici, contribuendo al riconoscimento di condizioni sfavorevoli o ostacoli. Inoltre, il veicolo è in grado di limitare le imprecisioni umane, come per i sistemi di assistenza allo sterzo o al controllo corsia, e di reagire in particolari situazioni di pericolo, come per i sistemi di frenata d’emergenza. Nel secondo caso, il veicolo è in grado di gestire da solo una serie di operazioni, più o meno complesse e in situazioni più o meno difficili, rimanendo dunque indipendente dall’intervento umano. Per questa ragione, nel 2014, la SAE International, un ente di normazione nell’industria aerospaziale, automobilistica e veicolistica, ha stilato una divisione in sei livelli di automazione che facesse chiarezza. Il livello zero si riferisce a quei veicoli nei quali ogni aspetto è sotto diretto controllo di chi guida e la macchina non interviene, mentre il livello cinque rappresenta l’automazione completa, ovvero è l’insieme dei veicoli (non ancora esistenti) che svolgono ogni funzione in totale autonomia e sui quali si viaggia come passeggeri al 100%. I primi due livelli sono già realtà e sono detti di Assistenza alla guida e Automazione parziale: il conducente è supportato a livello informativo e, al livello 2, anche in alcuni gesti come la frenata, la partenza, il mantenimento della corsia. Dal livello 3 si passa a parlare di futuro, più o meno prossimo. Con l’automazione condizionata il veicolo gestisce da solo l’andatura e la direzione, ma chi siede al posto di guida può intervenire se richiesto in condizioni avverse o impreviste, anche solo la presenza di un cantiere non segnalato. Tale problema è risolto con l’alta automazione, poiché il supporto umano è richiesto solo in condizioni estreme, il passo di fatto precedente all’automazione completa. I sistemi di bordo sono i più vari e fanno uso di tecnologie anche molto diverse tra loro, nonché in continua evoluzione, ma si può provare ad averne una rapida panoramica. In primis figurano i sistemi radar, lidar (ovvero che mappano l’ambiente circostante tramite impulsi luminosi, laser) e di visione artificiale, ovvero la sinergia di hardware e software con lo scopo di acquisire immagini 2D, trasformarle in 3D e interpretarne il contenuto. Al loro fianco si hanno le tecnologie che materialmente fanno muovere la macchina e quelle che la localizzano, ad esempio il GNSS (global navigation satellite system), in grado di stabilire l’itinerario, aggiornarlo e soprattutto seguirlo. Queste vanno sotto il nome di Bayesian simultaneous localization and mapping (SLAM), un sistema in grado di costruire una mappa offline dei propri dintorni ed aggiornarla continuamente attraverso input esterni ed efficienti algoritmi. Ed infine ci sono le tecnologie di ultima generazione, quelle in fase di test e quelle auspicate, come sistemi per lo scambio in tempo reale di dati sulla propria zona tramite l’uso di cloud.
Vantaggi e svantaggi: il pubblico è sempre più concorde e speranzoso
Mentre i primi prototipi e modelli commerciali entrano in attività, spesso nel campo dei trasporti pubblici e in ambienti circoscritti e controllati come aree altrimenti pedonali, si raccolgono i primi dati su pro e contro, nonché sulla ricezione del prodotto da parte dei consumatori. Il Capgemini Research Institute, con sede centrale a Parigi, ha pubblicato alla fine del primo trimestre di quest’anno un report in cui sono raccolti i risultati di un questionario che riguardava la reazione delle persone all’avvento di questa nuova tecnologia. I vantaggi riconosciuti sono molti: sarebbe garantita una maggiore mobilità a soggetti affetti da disabilità e a soggetti a rischio come giovani e anziani; si ridurrebbe auspicabilmente del 90% il numero di incidenti; in generale si migliorerebbero le condizioni di traffico e scorrimento, attraverso percorsi convenienti e andature ideali, nonché la comodità di chi viaggia. E’ possibile, infatti, incrociare le conoscenze già acquisite e gli algoritmi già testati con i nuovi studi e risultati. Interessante è uno studio recente condotto da Paul Krapivsky e Sidney Redner sulla miglior strategia di parcheggio. Tra chi si infila nel primo spazio libero a prescindere dalla distanza della destinazione, chi ignora i primi posti e spera in quelli più avanti e chi si ostina a cercare fino al punto esatto d’arrivo con il rischio di dover tornare sui propri passi, i migliori risultati sono stati ottenuti nell’ordine dal secondo e dal terzo archetipo. Tutte informazioni implementabili nella mente elettronica di un’auto. D’altro canto, la realtà non è perfetta come l’astrazione: ci si imbatte in problemi etici (è preferibile preservare la vita dei passeggeri del proprio veicolo, di un altro, dell’ambiente circostante, del veicolo stesso…?), legali (in caso di incidente a chi si attribuirà la colpa) e anche di sicurezza informatica, poiché si deve pensare anche alle cattive intenzioni di potenziali hacker. Il Capgemini Research Institute afferma che se ad oggi il 30% degli intervistati sarebbe interessato a passare a veicoli autonomi entro 12 mesi, ben il 63% lo farebbe nei prossimi 10 anni, attirati dai vantaggi in termini di consumo di carburante, riduzione delle emissioni, risparmio di tempo e dalle opportunità di business che si aprirebbero. Preoccupati in larga parte dalle reazioni del veicolo in situazioni inaspettate, dai possibili hackeraggi e dalla difficile interazione con veicoli non autonomi o con nuove norme stradali, più della metà di loro sarebbe comunque disposta a pagare fino a un 20% per l’acquisto di un veicolo autonomo rispetto a uno che non lo fosse. E questi sono tutti dati che, supportati dall’azione dei governi (citiamo qui l’esempio della città di Parma, dove la sperimentazione su strada ad opera della start-up Vis Lab ha ricevuto l’autorizzazione), non possono che incentivare investimenti nel settore e farci sperare in una rivoluzione del nostro modo di intendere l’autoveicolo nel futuro più immediato.