IN OCCASIONE DELL’ANNIVERSARIO DELL’ERADICAZIONE DEL VAIOLO RICORDIAMO LE PIÙ DEVASTANTI PANDEMIE DELLA STORIA

Sono passati ormai più di quarant’anni dall’ eradicazione del virus del vaiolo. Un avvenimento, questo, che ci ricorda quante altre volte nella storia il ciclo si sia già ripetuto.

L’eradicazione del vaiolo avvenne il 9 dicembre 1979. Finalmente dopo anni di studi e tentativi le vaccinazioni necessarie per contenerne la ferocia si rivelarono efficaci. Questo evento, che unì drasticamente la paura e la scienza, è solo uno dei tanti. Fin dall’antichità le epidemie hanno scosso tutto il mondo e continuano tutt’ora. Nel 2019, infatti, è comparsa una variante del coronavirus, denominata SARS-CoV-2, che ha costretto il mondo ad un brusco cambio di rotta.

L’ERADICAZIONE DEL VAIOLO

Il vaiolo è un virus estremamente contagioso, trasmissibile sia negli esseri umani che negli animali. La trasmissione è per via aerea è, dopo un’incubazione corporea di due settimane, la sintomatologia iniziale vede febbre, nausea, emicranie, fino ad arrivare alla comparsa di eruzioni cutanee. Causando il malfunzionamento delle proteine nel corpo fino alla morte cellulare, il vaiolo si è rivelato uno dei più mortali virus della storia e anche il più difficile da debellare. Pur essendo una malattia relativamente recente (circa 600 anni) a livello umano, il ceppo del vaiolo era presente negli animali, specialmente nei roditori, già da migliaia di anni.  Con l’aumentare della popolazione nel Medioevo divenne ancor più pericoloso, portando ad epidemie che causarono la morte di migliaia di persone. Durante il periodo delle conquiste spagnole nel nuovo mondo, il vaiolo arrivò con loro, decimando la popolazione dei nativi. Con la variolizzazione si ridusse l’impatto della malattia fra i cittadini abbienti, in Nord America e in Europa, ma fu solo con la scoperta in Africa della vaiola minor che si riuscì a trovare un modo per debellare la variante più aggressiva, la vaiola major. Dal 1796 partì la vaccinazione contro il vaiolo, che si protrasse in tutto il mondo fino agli anni Settanta. Gli ultimi casi risalgono proprio a questi anni, di cui uno solo in Europa. Infine il 9 dicembre 1979 il virus fu dichiarato scomparso.

Grafico che mostra il processo di eradicazione del vaiolo

LA PESTE

La seconda grande piaga che colpì il mondo per tutta la durata del Medioevo fu la peste. Era caratterizzata dalla comparsa di febbre, mal di testa e debolezza, che comparivano a sette giorni dal contagio. Ne esistevano tre diverse varianti, polmonare, setticemica e bubbonica, distinte per la differenza dei sintomi. La peste setticemica e bubbonica era trasmessa tramite il contatto con un animale infetto, mentre quella polmonare, la più mortale, veniva trasmessa per via aerea. La prima pandemia di peste documentata avvenne a Costantinopoli, durante il regno di Giustiniano I (482-565). Secondo le fonti causò la morte della stragrande maggioranza della popolazione bizantina, espandendosi nel Mediterraneo per altri due secoli. Nel 1348 si registra invece la seconda ondata, durata oltre 300 anni. Per la gravità e la brutalità con cui colpì, si guadagnò la nomea di “peste nera”. Arrivò dalla Cina e si diffuse in Europa con una rapidità devastante. Fino al 1700 si ripresentò ad intervalli regolari, uccidendo quasi 10 milioni di persone.  Nessuno sapeva come gestirla, e si andò per tentativi. Molte città, per esempio, istituirono i lazzaretti, luoghi di confinamento per isolare tutti i malati. Alcune altre invece si concentrarono sulle condizioni igieniche della città per evitare focolai. Le città, da poco i nuovi centri della vita lavorativa, si svuotarono, i cittadini in fuga verso le campagne. Non trovando una spiegazione a questa piaga, molti iniziarono a cercare un capro espiatorio, che si rivelarono gli ebrei. Essi furono accusati di avvelenare i pozzi e di far parte di un grande complotto che mirava ad eliminare la popolazione. Nessuno accettò la spiegazione della punizione divina data dal Papa, che emanò inutili bolle in difesa degli ebrei.

IL COLERA

Il colera (dal greco χολέρα) è una malattia gastrointestinale. La malattia in sé va distinta dal colera epidemico che interessò l’Europa, nel XVI secolo, appena dopo la scomparsa della peste. Quest’ultimo, infatti, era causato da un batterio importato direttamente dalla valle del Gange. I contagiati vennero presto in contatto con i soldati inglesi lì stanziati, facendo sì che la malattia arrivasse in Europa con loro. La grande epidemia europea scoppiò nel 1828, espandendosi immediatamente in tutto il continente. Dall’Europa navigò fino al Canada, contagiando infine tutta l’America. Nel 1854 il medico inglese John Snow si accorse che il colera colpiva in particolare una determinata zona di Londra. Capì che i malati avevano tutti attinto da un pozzo lì presente, e dopo aver impedito loro di bere quell’acqua, il focolaio epidemico si spense. Da questa osservazione dedusse che il colera si trasmetteva per contatto, attraverso fonti di dubbia igiene. Suggerì dunque una purificazione di massa non solo dell’acqua, ma anche delle generali condizioni di vita della città, che prese il nome in tutti gli stati europei di Profilassi di Stato. Questo cambiamento fu anche il risultato delle rivoluzioni del ’48, che misero in luce i gravi problemi di quel periodo. Le città, in continuo affollamento dopo l’industrializzazione, non ovviavamo efficacemente ai problemi igienico-sanitari di base, dando solo modo a malattie come il colera di proliferare. Rimaneva solo da risolvere il problema dei canali commerciali, primo veicolo di contagio tra continenti. Si dovette aspettare il 1903, quando l’Ufficio Internazionale di Igiene stipulò alcune leggi fondamentali per il controllo delle città, delle vie marittime e mercantili, al fine di tenere sotto controllo non solo il colera, ma anche tutte le malattie ad alto rischio di contagio.

Il batterio del colera (foto: my personal trainer)

IL TIFO

Il tifo è un batterio estremamente contagioso, seppur decisamente meno letale della peste. Colpì il mondo ad intervalli regolari, protraendosi fino alla Prima Grande Guerra. Solo di recente se ne è potuta studiare la composizione, arrivando a distinguerne ben tre varietà. La febbre tifoide si presenta, dopo qualche settimana, con febbre, mal di testa, mancanza di appetito, malessere generale e tosse. Si trasmetteva per via diretta, attraverso il contatto con acqua o alimenti contaminati. Il tifo petecchiale è invece una malattia epidemica, che compare generalmente in luogo dove l’igiene manca e i pidocchi, principale veicolo di trasmissione, possono proliferare. Si presentava principalmente d’inverno, quando le persone tendevano a lavarsi meno, raggiungendo il 100% di mortalità in caso di epidemia. Il tifo murino, infine, il meno problematico, si trasmetteva principalmente attraverso le pulci dei ratti. Tratto comune rimane dunque, la scarsa igiene che caratterizzava le case e le città durante il Medioevo. Le grandi epidemie di tifo iniziarono sul finire del 1400, presenti principalmente nei soldati spagnoli di ritorno dalle Americhe. Anche Napoleone ne subì il colpo, quando i soldati dovettero ritirarsi dalla campagna di Russia dopo che ne furono colpiti. In Russia poi, complice la povertà e il freddo, il tifo mieteva addirittura novanta mila casi all’anno.  Durante l’inverno del 1915 le epidemie tra i soldati serbi erano talmente diffuse che il tasso di mortalità arrivò al 60%. Tra il 1917 e il 1921, in Russia, si arrivò al picco della malattia, con numeri fino a trenta milioni di contagiati. Questa situazione, unita all’aumento dei prezzi, alla fame e alla povertà, costrinse lo zar Nicola II ad abdicare in favore di un governo provvisorio. Nonostante l’intervento di Lenin che prese il comando della nazione, i morti furono tre milioni.

 

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