Fumetto: un modo affascinante per raccontare storie a persone di tutte le età. Proprio per la sua natura interessante e differente è diventato sempre più un fenomeno degno di essere celebrato, come è appena successo a Milano. L’8, il 9 ed il 10 marzo si è infatti svolta tra i padiglioni della fiera di Rho il Cartoomics, la fiera del fumetto che si tiene nel capoluogo lombardo dal 1992.
Tre padiglioni con attività, conferenze con professionisti, concorsi di cosplay e firmacopie di artisti. Tra gli stand si respira la passione di migliaia di persone per questo universo di inchiostro e vignette, in tutte le forme che possono prendere. Dai più classici Marvel o Diabolik, alle più moderne novità nate sui social e poi sbarcate anche su carta. Ovviamente nessun paese è escluso da questa ondata di ballons. I fumetti presenti al Cartoomics infatti non sono solo europei, ma al contrario si espongono anche i celebri made in USA e, ovviamente, gli amatissimi manga provenienti dal lontano Giappone.
L’amore per il Giappone nel mondo del Cartoomics
I manga, cioè le (quasi) controparti dei fumetti nella cultura giapponese, sono una vera e propria istituzione nel paese del Sol Levante. Nell’ultimo periodo, inoltre, queste figure protagoniste di storie ‘al contrario’ hanno valicato i confini nazionali, per approdare anche in Europa. Chiunque in Occidente li conosce e sa dire cosa essi siano, e una buona parte della popolazione se ne può anche definire fan.
I manga sono venerati come una letteratura e questo si nota benissimo in una fiera come il Cartoomics. Qui infatti, in quasi ogni stand gli espositori offrono gadget ispirati alle storie giapponesi o proprio direttamente i loro libri. File e file di manga sono accostate una accanto all’altra, in bella mostra, per attirare i visitatori. Ma da dove viene tutto questo amore per il Giappone?
Non è un segreto che la nostra società abbia una vera e propria passione per quella cultura che sembra così lontana. L’elogio ai manga, la massiccia presenza di anime sugli schermi o piattaforme cinematografiche, ma anche banalmente il nuovo ‘periodo giapponese’ del negozio Tiger sono una prova di questa nuova ‘religione’. Il motivo potrebbero essere le storie accattivanti disegnate con uno stile completamente diverso da quello a cui siamo abituati. Attraverso le pagine di un manga o le immagini di un anime, riusciamo a scoprire sfaccettature di una nuova cultura, oltre che vedere con occhi nuovi la nostra. Il leggere le classiche storie della nostra letteratura adattate al formato manga, per esempio, fa riscoprire dettagli che non avevamo notato. Inoltre, ne sottolinea altri e dona una magia nuova alla storia che conosciamo ormai a memoria.
Gli impressionisti come predecessori
Insomma, il Giappone è un vulcano di nuove idee e storie con protagonisti diversi, che vivono avventure lontane da quelle che noi ideeremmo, o che semplicemente sono contraddistinti da uno stile che incuriosisce l’occhio non abituato. La curiosità per il diverso, dunque, è la sorta di chiave che ci apre al mondo dell’amore per il Giappone. Un dettaglio di questa lovestory però non è sempre chiaro. Non siamo stati noi popolo del ventesimo/ventunesimo secolo, infatti, i primi ad instaurare un rapporto così appassionato con quel paese.
Potrebbe parere strano, tuttavia nostri predecessori sono stati, tra gli altri, gli impressionisti. Questa corrente si sviluppa infatti proprio nello stesso periodo in cui gli occhi del mondo si puntano -finalmente- sul Giappone. Il paese era stato chiuso agli stranieri fino alla metà dell’Ottocento. Quando decide di aprirsi, gli artisti rimangano affascinati dal suo stile leggero e dai suoi colori sgargianti.
Le novità che questa arte apporta sono fondamentali: la visione della anatomia umana si evolve ed i paesaggi giapponesi rimangono dipinti in eterno nella mente dei pittori. Questi infatti iniziano ad acquistare le stampe orientali, a copiarle o ad inserirle nei propri dipinti. Per Édouard Manet, per esempio, ogni occasione è buona per inserire quel tocco di esotico nelle sue creazioni. Nel ritratto dello scrittore naturalista Emile Zola, Manet infatti riempie lo sfondo dello studio con elementi giapponesi. Si notano infatti un paravento sulla sinistra e delle stampe sulla destra.
Altro impressionista innamorato dell’arte giapponese era Claude Monet. L’arte orientale è infatti protagonista del ritratto di suo moglie, raffigurata con un kimono ed un ventaglio in mano, accessorio molto in voga all’epoca proprio per la sua natura esotica. Inoltre, il pittore francese si ispira ai maestri giapponesi nella struttura dei suoi quadri, nel movimento delle stoffe e addirittura costruisce un ponte in stile nipponico nella sua casa a Giverny. Nei dipinti che vedono proprio questo ponte soggetto primario, in compagnia delle ninfee, anche lo stile sfuggente tipico di quella nazione lontana si vede preso a modello.
Ma cambiando corrente artistica, anche con l’espressionista Vincent Van Gogh si nota l’amore giapponese. Anche l’olandese infatti inserisce nelle sue opere elementi tipicamente orientali. Questa è l’ulteriore prova che da quando il paese del Sol Levante ha deciso di mostrarsi al mondo, non ha ricevuto che lodi. E se questo è accaduto nel lontano 1800, come possiamo pensare di essere noi, abitanti del ventunesimo secolo, i primi ad essersi innamorati di tanta bellezza?