Il vero latino classico: 5 pronunce che si sono perse nel corso del tempo

Il latino scolastico che ci viene insegnato non rispetta, contrariamente a quanto si possa pensare, tutte le pronunce del latino antico, in particolare quello classico.

Andremo a vedere in questo articolo le cinque pronunce più sostanziali che sono cambiate nel corso dei secoli.

Premesse

Ogni lingua muta, muta la grammatica, mutano le parole e con esse anche la pronuncia. Tutto questo è ancora più evidente nella storia del latino antico, una lingua che è stata soggetta a una serie di trasformazioni linguistiche dovute a tutta una serie di ragioni, a partire dalle invasioni barbariche sino al monopolio sull’istruzione esercitato dalla Chiesa. Nei processi di recupero di quel latino che stava andando ormai scemandosi (tra cui non si possono non ricordare la riforma linguistica voluta da Carlo Magno o il lavoro amanuense), si tornò a una forma di latino più vicina a quella classica (cioè del I secolo a.C.). Però con alcune pronunce differenti. Il risultato è quello che definiamo latino medievale, che attraverso secoli è giunto sino a noi, motivo per cui leggiamo il latino – anche quello classico – così come l’avrebbe letto un monaco del XIV secolo. L’elenco che segue – va precisato – non vuole essere una forma di denuncia al metodo scolastico, che ha tutte le sue buone ragioni per aver voluto adottare la pronuncia medievale. È un elenco volto piuttosto ad diffondere la consapevolezza di come Cicerone, Cesare e altri grandi personaggi del passato pronunciassero realmente le parole.

1. Dittonghi… e non solo

Tre sono i dittonghi che ci interessano: ae, oe e au. Siamo abituati a leggere i due dittonghi latini ae e oe come “e”. Questa era sì una peculiarità anche di quel tempo, ma limitata a un uso dialettale del latino. Tra le classi più abbienti la pronuncia corretta, nonché quella letteraria, era di leggere i due dittonghi esattamente così come si scrivevano. In un primo momento, nel latino medievale si era in realtà persa non solo la pronuncia originaria, ma anche la grafia di tali dittonghi (che cominciarono ad essere scritti con una semplice “e”). Il loro ripristino alla forma classica è dovuta al lavoro degli umanisti. Per quanto riguarda invece au, questo cominciava a essere letto in maniera differente – e assai diffusa – già a partire dall’età che ci interessa: la pronuncia si era oramai chiusa in “o”. Un interessante aneddoto relativo a questo aspetto è che Clodio, uno dei noti avversari di Cicerone stesso, proveniva in realtà dalla gens Claudia. Ma la sua vicinanza al popolo e il suo ruolo di tribuno della plebe lo avevano indotto a cambiare il proprio nome da Claudio a Clodio, cioè a una forma comunque più popolare e dialettale.

2. La vera pronuncia del nesso -ns-

Passiamo poi a un caso un po’ più specifico e pressoché sconosciuto. C’è un particolare nesso consonantico che ci sarà sicuramente capitato di trovare in quale parola latina: il nesso nasale-sibilante, ossia –ns-, come ad esempio in mensis (‘mese’) o consul (‘console’). Alle origini dobbiamo di certo pensare che la pronuncia rispettasse la nostra, ma già dall’età preletteraria (e di conseguenza anche in età classica) questo nesso cominciò a essere semplificato dai parlanti in una semplice nasale dentale (“n”),  per cui mensis si pronunciava “mesis” (e di fatto noi oggi abbiamo “mese” e non “mense”) e consul si pronunciava “cosul” (in questo caso in italiano abbiamo un latinismo che riprende la forma antica, per cui diciamo comunque “console”).

3. Le velari

Siamo giunti ora a un caso forse un po’ più conosciuto, quello delle velari o gutturali, ossia “ch” e “gh” (indicati nell’IPA rispettivamente con [k] e [g]). Nel latino classico quando troviamo una “g” o una “c” è bene sapere che queste andavano lette sempre con il loro suono duro e non dolce. Per cui ad esempio gens (la ‘stirpe’) e Cicero (il nostro ‘Cicerone’) si pronunciavano “ghens” e “Chichero”.

4. L’aspirazione

Caso più semplice è quello delle aspirazioni. In modo analogo ad esempio all’inglese, anche in latino un tempo si aspirava la pronuncia delle parole inizianti per “h”, come Hercules o homo. È una caratteristica che si perse piuttosto in fretta e che venne ripresa solo graficamente. Va ricordato però che quando l’“h” si trova all’interno di parola non va pronunciata. Era infatti solo un mero segno grafico che aveva la funzione o di separare due sillabe (come nel caso di traho, ‘trascinare’) oppure che si andava per motivi morfologici a trovare in mezzo alla parola, come in inhumanitas. Caso a parte, però, è quello delle aspirazioni consonantiche (ch, ph e th) – aspirazioni che andavano invece rispettate – introdotte nel II secolo a.C. per poter traslitterare le parole greche.

5. La cosiddetta “-m” caduca

Non solo in età classica ma a partire già da tempi più antichi la “-m” a fine di parola, se non era del tutto assente, veniva perlomeno pronunciata assai debolmente. Questo è il motivo per cui le parole italiane che derivano dal latino – una derivazione per la maggior parte delle volte dal caso accusativo – non risentono di alcuna “m” finale. E motivo per cui, anche, in poesia latina possiamo fare una liaison tra una parola che termina per “-m” e una che inizia per vocale, ovvero leggere unite le due parole senza pronunciare la consonante in questione.

 

 

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