Lo studio antropologico della cultura riconduce alcuni miti alla figura singolare di uno dei più grandi artisti della storia dell’arte.

Il concetto antropologico di Trickster prevede una figura dissacrante che infrange i canoni sociali morali e comportamentali: la storia dell’arte è piena di eventi del genere che hanno rivoluzionato per sempre il corso e l’evoluzione delle ricerche artistiche.

L’antropologia culturale
Lo studio dell’antropologia, divenuto oggetto di ricerca accademica solo nel 1800, è qualcosa che ha sempre impegnato gli studiosi: se ne hanno ampie testimonianze quando, dopo la scoperta delle americhe, i colonizzatori si sono posti domande circa la differenza tra loro e i nuovi popoli. Già da prima molti viaggiatori quali Erodoto, nel 500 A. C. avevano collezionato testimonianze dei gruppi incontrati in giro per il mondo definendo così il primo esempio di raccolta antropologica. In ambito illuminista queste ricerche hanno avuto uno straordinario impulso tanto da rivoluzionare i metodi di approccio alla ricerca: è in questo periodo che si diffonde la ricerca antropologica sul campo; Africa e Asia divengono le mete preferite di ricercatori e appassionati, rapiti dall’idea di culture lontane e primitive.
Si definiscono così le prime linee guida, concetti fondamentali allo sviluppo delle successive e più articolate teorie: la definizione di cultura, essenziale in questo senso, giunge per la prima volta nel 1871 da E. B. Tylor come un insieme di credenze, usanze, manifestazioni artistiche e ordini morali e sociali espressi in modelli comportamentali ai quali chiunque deve adeguarsi per appartenere ad un contesto sociale. Questi modelli, tramandati e acquisiti alla nascita da ogni individuo, predispongono l’uomo a reagire agli istinti che altrimenti rimarrebbero insoddisfatti, evidenziando così i comportamenti ammessi o comunque considerati accettabili in un gruppo sociale.
Molte culture sparse per il pianeta sono accomunate da miti e manifestazioni che sono a scritto contatto col il tema dei modelli sociali e culturali: gli antropologi hanno riscontrato la presenza di una figura, chiamata Trickster -identificabile come un imbroglione-, che in modo contraddittorio e riprovevole rompe quei modelli storicizzati plasmando il mondo a sua discrezione. Così facendo apporta all’uomo nuove conoscenze: la rottura dell’ordine culturale genera cultura.

I Trickster Dada
La comunità degli Zuni, nativi americani dell’attuale New Mexico, presenta delle manifestazioni rituali pubbliche, ormai divenute famose presso i turisti, che consistono in parate di buffoni chiamati koyemshis. Il loro scopo è quello di compiere azioni contrarie alla norma per tenerle presenti alla coscienza della società che le intende come negazioni del vivere sociale. Il fare artistico, essendo uno dei tanti aspetti che compongono una cultura, è soggetta a modelli sedimentati negli anni e difficilmente modificabili: gli esempi sono innumerevoli e vanno dai canoni rappresentativi gotici ai profili tipicamente rinascimentali rimasti tipici per secoli, alle raffigurazioni storiche settecentesche per non parlare dell’architettura classica rimasta nell’immaginario storico fino al XIX secolo.
Così come le comuni norme comportamentali vengono infrante dai buffoni anche i canoni artistici vengono messi in discussione da personalità capaci di emergere con nuovi metodi e linguaggi espressivi più adatti al contesto sociale. Volendo rintracciare un koyemshis nella tradizione artistica europea non possiamo che citare le avanguardie storiche e, tra queste, quella più radicale: il Dadaismo. Il Movimento nato tra Zurigo e New York durante la prima guerra mondiale, è stato caratterizzato da subito da un accesa contrapposizione alla cultura dominante: ad essere sotto accusa era le guerre, la società dalla quale questi conflitti si erano originati, e le precedenti avanguardie artistiche, colpevoli di non aver infranto precedentemente i legami con la tradizione.
Come dei veri e propri trickster i dadaisti organizzavano manifestazioni e incontri, storici quelli al Cabaret Voltaire ad opera di H. Ball, votati a sconvolgere l’opinione dei visitatori, con un impatto devastante sul pubblico; con iniziative simili ai futuristi italiani, sia per esecuzione che per spirito dissacratore, l’idea che animava il gruppo era proprio quello di ripartire da zero aprendo ad una creatività libera da ogni modello culturale.

Museo in valigia
È proprio in questo periodo che vengono perfezionate tecniche come il collage, il frottage, fotografie sperimentali e installazioni: l’opera doveva andare contro la tradizione figurativa, contro le avanguardie, contro la società: una sorta di nichilismo pervadeva i giovani artisti e filosofi Dada che, vivendo l’interminabile guerra di trincea, professavano la morte della bellezza. È così che le riunioni erano animate da parole in libertà, performance dissacranti e accese discussioni. Quest’agitazione generale di giovani dal sangue vigoroso si traduce in prodotti artistici sperimentali, dalle opere casuali di Arp alle poesie libere di Tzara, dalle foto di Man Ray agli articolati fotomontaggi di Höch ed Ernst.
L’artista che più ha esteso il discorso iniziato dai Dada è stato Marcel Duchamp, artista francese che ha inaugurato una stagione artistica di cui ancora oggi vediamo le rielaborazioni; non ha solo aperto nuovi ambiti di ricerca (lavoro sul corpo, uso di oggetti casuali) ma ha anche posto l’attenzione su temi nuovi: il rapporto tra firma e opera, la relazione opera- luogo d’esposizione, la paradossale domanda che accompagna ogni sua opera ‘chi bisogna considerare artista? Colui che crea l’opera o colui che vi attribuisce un senso?’.
L’opera che lo ha posto all’attenzione del sistema dell’arte è stato Nudo che scende le scale, opera pittorica esposta nel 1913 all’Armory Show, precedente di cinque anni all’iconica Fontana (1917). Le successive opere poi, intuendo la debolezza della tecnica pittorica, sono rappresentate da sculture ready made tra cui la Ruota di bicicletta e lo Scolabottiglie. Il suo metodo differenziava un oggetto ready made da un objet trouvé: il soggetto ready made, scelto per la sua indifferenza visiva, doveva avere una funzione di spiazzamento, cosa ben rappresentata dalla Routa di bicicletta che sovvertiva ogni concezione di scultura; lo spettatore poteva toccare e far muovere un oggetto decontestualizzato dal suo uso quotidiano.
Critica verso ogni ambito della società e del mondo dell’arte, l’opera che forse meglio rappresenta lo spirito dell’artista è Scotola in valigia del 1934: un museo portatile, chiuso in una valigetta, con delle riproduzioni in miniature di alcune sue produzioni. Oggetto della sua ironia in questo caso sono tutti coloro che, troppo legati ad una tradizione artistica ormai datata, sono restii ad accettare quella forma di espressione come arte. A loro lascia, nella valigia, gli appunti e le spiegazioni dei processi che hanno portato alla realizzazione delle opere esposte.
