I gusti dell’ascoltatore medio di musica sono cambiati ultimamente secondo Daniel Ek, il co-fondatore di Spotify, per il quale, di questi tempi, il consumatore tende sempre più spesso ad ascoltare la musica per brani, di solito affollati nelle playlist, piuttosto che per album.
Tim Ingham, l’autore dell’articolo per Rollingstone, spiega che le vendite degli album stanno cadendo a picco negli ultimi anni e che nel 2018 la situazione è addirittura peggiorata poiché gli artisti stessi hanno preferito lo streaming alla copia fisica: alcuni tra i maggiori artisti americani, tra i quali Drake ed Eminen, hanno rilasciato le copie fisiche solo dopo averli concessi in esclusiva alle maggiori piattaforme digitali.
Più avanti l’autore si chiede se tutto ciò non determinerà un rapporto artista-consumatore più superficiale, considerando che l’album più venduto negli Stati Uniti nel 2018, che contiene ben 25 tracce, Scorpion di Drake, ha ottenuto l’82% degli ascolti da sole sei canzoni.
Possiamo ipotizzare che con “rapporto più superficiale” si intenda che il fruitore non riesce a comprendere la totalità dell’opera (in questo caso un album musicale) pubblicata poiché non la ascolta in maniera ordinata e completa.
Questo è probabile perché, soprattutto se l’album è strutturato con un concept anche abbastanza complesso, sarà difficile arrivare a cogliere la completezza dell’espressione artistica del prodotto.
Tuttavia, probabilmente c’è qualcosa in più da dire sulla superficialità di questo rapporto: ad oggi la maggior parte degli artisti condivide anticipazioni delle opere, processi creativi e anche la propria vita direttamente (e spesso anche in diretta) con i propri fan, tramite i social network.
È possibile che questo faccia la sua parte nel fortificare il legame tra creatore di contenuto e fruitore poiché egli può assistere a parte del processo creativo e del contesto dell’autore. Quindi non è detto che questo rapporto si affievolisca, ma anzi è possibile che maturi in virtù del fatto che il fruitore dell’opera ha più ampio accesso non solo al prodotto finito ma anche alla sua elaborazione.
L’industria musicale con la sua struttura ambigua e in decadenza ci mette di fronte alle sue contraddizioni, ma il progresso non può essere fermato: quale specie in quale universo rifiuterebbe la possibilità di avere tutta la musica del mondo disponibile (quasi) ovunque, per una cifra che nel peggiore dei casi si aggira intorno ai 10 euro mensili?
Se è vero che le persone comprano meno dischi fisici è anche vero che probabilmente ascoltano più musica, variano più spesso tra i generi e potenzialmente hanno un rapporto più intenso con l’artista seppur in maniera “più superficiale”.
Simone Zaccaro
@abbaiandosudovest