Il potere e la poesia nell’Antica Roma: ecco i tre imperatori che furono anche artisti

Pensiamo sempre ai sovrani di Roma come abili politici… Ma quanto sappiamo della loro vena creativa e dei loro interessi culturali?

Apollo, l'origine della musica divina nella mitologia greca – altmarius
Affresco di Giovanni Domenico Tiepolo, 1757.

Abbiamo in mente l’immagine degli imperatori a cavallo, stretti dentro le loro uniformi da generali, lo sguardo fiero. Abbiamo in mente l’opera storica di Cesare, il De bello gallico, abbiamo in mente l’autobiografia di Augusto, le Res Gestae… Eppure, quegli stessi uomini erano capaci di una sensibilità molto più profonda di quel che a primo impatto possa sembrare. Quegli stessi uomini componevano anche poesie, erano affascinati dalla letteratura, dal teatro, dalla musica e dalle arti.

Certo, il mos maiorum e la tradizione senatoria disapprovavano simili inclinazioni, e per questo lo stesso Ottaviano bruciò i suoi versi. Il motivo era molto semplice: tali attività erano state portate a Roma dai greci. Ma non solo: i primi drammaturgi erano appunto schiavi o persone provenienti dagli strati bassi della popolazione. Un imperatore che verseggiava creava scandalo (se ti interessa l’argomento leggi anche https://www.ilsuperuovo.it/il-9-giugno-del-68-nerone-si-suicidava-ripercorriamone-il-principato-sotto-una-nuova-luce/, dove approfondisco maggiormente il discorso), tanto da essere malvisto dalle fonti storiche per questo motivo. Tuttavia, a poco a poco, grazie agli sforzi dei propri predecessori, i sovrani dell’ecumene riuscirono pian piano a poter esprimere liberamente la propria vena artistica…

Claudio

Nonostante abbia accantonato i suoi studi una volta asceso al trono, il nipote di Tiberio aveva un particolare interesse nei confronti della storia antica. Escluso dalla vita politica per molto tempo, in quanto ritenuto poco adatto per la successione, egli si dedicò così agli studi eruditi. Famose sono l’opera in cui analizzava le vicende di Cartagine, un trattato a favore di Cicerone, uno sulla lingua e uno sul gioco dei dadi.

Le sue conoscenze gli furono molto utili anche una volta divenuto imperatore: il principe le applicò in diverso modo a seconda della situazione. Emblematico in tal senso è il discorso fatto in Senato nel 48 d.C., testimoniato dalla Tabula claudiana. Claudio era un fervido ammiratore degli Etruschi (di cui studiò anche la lingua), cui dedicò un intero trattato. Partendo dalla rievocazione della monarchia dei re di Roma di origine etrusca, egli riuscì a convincere i senatori di concedere alcuni seggi del Sento ai nobili della Gallia Comata. Il paragone era semplice: come già una volta Roma aveva fatto, anche allora conveniva aprire la porta allo straniero, il quale avrebbe saputo unirsi ai Romani per creare un futuro maggiormente radioso.

Claudio fu un abile politico, a differenza di quanto ci presentano gli autori antichi. Sebbene dalle fonti storiche sia screditato e definito pauroso e stupido a causa delle balbuzie, la realtà è ben diversa. Claudio non piaceva né a Tacito né tantomeno a Svetonio, dal momento che sotto di lui acquisirono molto potere i liberti a discapito dei senatori. Fu a loro che diede il comando degli uffici imperiali, cosa che ovviamente il Senato disapprovò, sentendosi privato di prestigio. Ciononostante, già all’epoca gli uomini dotti e gli scienziati lo consideravano uno degli uomini più eruditi del tempo e Plinio il Vecchio lo cita quattro volte come un’autorità.

Claudio imperatore romano (14-68 d.C.) - Studia Rapido
La proclamazione di Claudio a imperatore, L. Alma Tadema, 1867. Fatta passare dagli autori latini come fortuita, probabilmente la realtà storica fu ben diversa. Non è infatti probabile che i pretoriani scegliessero come nuovo sovrano un uomo nascosto dietro la tenda e implorante pietà.

Nerone

Come già accennato nell’articolo linkato precedentemente, anche il nipote di Claudio fu estremamente affine agli studi filosofici e letterari. Affascinato dalla cultura egizia, greca e orientale, Nerone fu sin da subito attratto principalmente dalla musica e dalla poesia. A differenza di Augusto, mecenate più per propaganda che per passione e Claudio, che, come il primo princeps, fu ben attento a tenere queste passioni private, il giovane sovrano fu estremamente innovativo. Perché tenere nascosta una disciplina tanto nobile? Perché era così sbagliato verseggiare?

L’ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia aveva una visione: ellenizzare Roma, svecchiare la tradizione e rendere possibile a molti altri giovani nobili che condividevano lo stesso sogno di mostrare apertamente il proprio amore per la poesia senza doversene vergognare. Per questo motivo i rapporti con il Senato si incrinarono sempre di più, e proprio questa liberalizzazione causò la scintilla del profondo odio nei suoi confronti, alimentato per i secoli successivi dalla tradizione e dallo studio degli autori antichi.

Nerone non solo gareggiò nei teatri, ma scrisse numerose poesie andate poi perdute. Nonostante Tacito le screditi, lo stesso Svetonio ammette che le opere del principe, esaminate personalmente, erano di squisita fattura. Celebri per lo stile barocco e le continue citazioni al mondo ellenico, di particolare fama godette quella che elogiava lo splendore di Poppea, oltre che il poema epico sulla guerra di Troia. A tal proposito, è interessante sottolineare la sua scelta di trasformare Paride nel protagonista, a discapito di Ettore, simbolo della tradizione aristocratica. Questo a parer mio è estremamente importante per comprendere gli interessi e il carattere liberale dell’imperatore: egli scelse infatti di privilegiare il principe esteta e ribelle, che al dovere sceglie l’amore, alla gloria la passione.

Adriano

Proprio come Nerone, anche il successore di Traiano sin da giovane si appassionò al mondo greco. Anch’egli, come l’ultimo sovrano della dinastia giulio-claudia, visitò le poleis e assistette, presidiando come giudice, alle gare di poesia a Olimpia. Credo che si possa affermare senza troppi dubbi che il suo modo di vivere – dalla compagnia di Antinoo all’iniziazione ai culti misterici fino alle predizioni astrologiche in Egitto – fu reso possibile anche grazie alle porte che Nerone precedentemente aveva avuto il coraggio di aprire. Lui per primo aveva progettato un viaggio ad Alessandria proprio perché affascinato dal territorio, lui per primo aveva mostrato una profonda inclinazione per la Grecia e la sua cultura.

Cinquant’anni dopo, ecco che comporre versi e mostrarsi esplicitamente a favore dell’ellenismo creava molto meno scandalo di quanto era avvenuto sotto Nerone. Non solo: se Augusto aveva dato alle fiamme le sue composizioni poetiche proprio per evitare la disapprovazione dei senatori, se il suo pronipote era stato soggetto al biasimo delle fonti antiche proprio per tali passioni, ecco che con Adriano le cose cambiano. È proprio da un’opera come la Historia Augusta, la raccolta di biografie di imperatori da Adriano a Numeriano, che veniamo a sapere delle poesie del sovrano. Alla fine della sua vita, nel libo 9, paragrafo 25, si parla della morte del vecchio imperatore. Proprio durante gli ultimi periodi della sua vita, quando egli era già malato, si dice che compose questi versi:

Piccola anima carezzevole e vaga,

ospite e compagna del corpo,

dove andrai ora? In luoghi pallidi,

freddi e nudi dove non otri come

sei solita scherzare.

Lo stile lezioso tipico dei poetae novelli (scuola poetica diffusa nel II sec. sotto di lui), arcaicizzante e retrospettivo, è proprio anche di altri componimenti cui gli autori della Historia fan riferimento.

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