Il limbo di Buzzati e “Leone, il cane fifone” tra reale e surreale

Cuor di fifone e coraggio da leone. Forse ciò basta a descrivere il simpatico cagnolino rosa che rallegra chiunque lo guardi, attraverso le sue strampalate avventure. Si tratta, insomma, del protagonista dell’omonimo cartone animato, Leone, il cane fifone. Questo piccolo cucciolo vive in una fattoria sperduta della città di Altrove, in Kansas, insieme a una curiosa coppia: la dolce Marilù e lo scorbutico Giustino.

Le inquietanti vicende di Leone

La vita di Leone, apparentemente, sembra trascorrere in modo sereno, ma, in realtà, ogni giorno è costretto a difendersi da tante insidie che minacciano la sua tranquillità.  In ciascun episodio, infatti, all’inizio tutto prelude a qualcosa di rassicurante, per via del felice quadretto familiare che si intravede nelle prime scene. Ma basta una banalità, un qualsiasi evento fortuito affinché la situazione si rovesci.

“I topi” di Dino Buzzati

Nella nota opera di Dino Buzzati, La boutique del mistero, è contenuto un racconto, I topi, che molto si avvicina allo stile degli episodi di Leone. La storia, scritta in prima persona, racconta di una coppia di amici del narratore che, ogni estate, lo invita a trascorrere del tempo con loro nella villa di campagna. A un certo punto, però, questa tradizione si interrompe e suscita non poco stupore in lui che comincia a ripercorrere i giorni passati in quella casa gli altri anni e, alla mente, riaffiora un fastidioso particolare. Il narratore, dunque, costantemente avvertiva dei topi muoversi da una parte all’altra dell’appartamento, ma, ogni volta che ne parlava con il suo amico Giovanni e la moglie, la questione veniva minimizzata.

A darci maggiore peso era, invece, il figlio Giorgio che, un giorno, gli mostra la cantina dove i tremendi roditori sono nascosti e come la loro presenza abbia sconvolto la vita dei suoi genitori.

Analogie e differenze tra “I topi” e “Leone”

Senza alcun dubbio, ad accomunare Leone e il racconto di Buzzati è la struttura della trama che, nelle scene iniziali, si mostra distesa, per poi essere intaccata dall’elemento che minaccia tutto l’equilibrio. Da notare è che, sia il narratore della storia sia Leone, percepiscono subito che c’è qualcosa di conturbante nella proprie vicende ed entrambi rivelano le loro riflessioni rispettivamente al lettore e allo spettatore. Anche la disposizione dei ruoli degli altri personaggi è molto simile.

Basti pensare che Giovanni Corio, il proprietario della villa infestata dai topi, prova a minimizzare il problema, a ignorarlo e a non dare ascolto alle preoccupazioni dell’amico. Alla stessa stregua Giustino, non si cura dei segnali e dei versi che Leone prova ad indirizzargli ogni volta che si presenta un pericolo. Anzi, non fa altro che definirlo “uno stupido cane”.

La signora Elena Corio, un po’ come Marilù, rimane lì inerte, assecondando il dovere del marito e senza essere veramente consapevole di ciò che accade intorno.

Ciò che concretamente segna il discrimine tra Buzzati e i produttori di “Leone, il cane fifone”, è il finale. Mentre lo scrittore italiano chiude la storia sottolineando l’impossibilità, da parte di Corio, di riuscire a liberarsi degli infimi topi e la sua sottomissione a queste creature, in Leone non è così. Il cagnolino rosa, infatti, anche se appare fifone, riesce a far prevalere sul timore il coraggio, per amore della sua Marilù, e a scacciare tutto ciò che gli incute paura, ripristinando l’ordine iniziale.

Elisabetta Di Terlizzi

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