Può la storia di un inetto essere avvincente? La parabola del disadattato attraversa tutta la letteratura del XX secolo, e i fratelli Coen la attraversano nella pellicola “Inside Llewyn Davis”
La sapiente regia dei fratelli Coen segue una settimana della vita di un cantante folk, Llewyn Davis, realmente ispirato alla figura del cantante folk Dave Van Ronk, e ne tracciano un ritratto vivo, reale, ironico e feroce, che ricalca l’inetto letterario del XX secolo.
La parabola dell’inetto
È con la narrativa moderno- decadente, in conseguenza con la crisi del rapporto Io- Mondo, che si segnala la fine del romanzo di impianto naturalistico. È in questo momento che il protagonista diviene un “uomo senza qualità”, un anonimo che si scopre disinserito dal contesto sociale, solo con i suoi difetti, le sue tare, i suoi tic, incapace di autentica comunicazione con gli altri, spesso vittima alla ricerca delle di un’identità che non riuscirà mai a farsi stare bene addosso. La sua presenza è prerogativa indispensabile nel romanzo moderno- e anche nei film- perché dimostra che ogni tentativo di costruire un tipo umano riuscito è fallito miseramente.
Gli inetti dei romanzi rispecchiano il disagio dell’uomo moderno, della sua incapacità di riuscire ad affermarsi nella grande macchina che ha costruito- il mondo industrializzato- e del quale non è più padrone, ma solo parte integrante come ingranaggio mancante in una catena di produzione (o distruzione?) perfetta. Vivere ormai diviene un mestiere sgradito e l’unico modo per sopravvivere è un’arte inutile in un mondo dettato dalla logica dell’utile e del necessario. Non c’è più spazio per l’artista: ed è così che Llewyn Davis ha perso la sua battaglia con la vita.
Girare in tondo
Se pensiamo alla scena musicale di New York negli anni ’60 ci viene in mente un uomo prima di tutti gli altri: Bob Dylan. Ma questa non è la storia di Bob Dylan. La storia che ci narrano i fratelli Coen è una storia che comincia un po’ prima, quando il musicista folk Dave Van Ronk inizia a spianargli la strada, combattendo con una chitarra e cercando di difendere e proteggere la musica folk.
“If it’s never new and doesn’t get old, it’s a folk song”
(se non è mai stata nuova, ma non invecchia mai, allora è una canzone folk)
-“Inside Llewn Davis”
Testi melodici bisbigliati al microfono e voce fuori dal comune, un po’ rauca e strozzata- metafora di una sinfonia della vita alla quale non ci si riesce ad adeguare, solista in palcoscenico ma senza casa. Se facesse qualche audizione al giorno d’oggi Llewyn Davis (ispirato appunto a Dave Van Ronk) sarebbe l’ennesima star di un talent che commuove per storia e bravura, ma questo non è un talent. Qui c‘è la vita reale, e i fratelli Coen lo sanno bene. E così Llewyn diventa un sarcastico bohémien assiderato nel gelo newyorkese.
L’ennesimo personaggio costretto a fare i conti con la mediocrità e le scelte sconclusionate che lo porteranno ad accettare un sofferto ridimensionamento del proprio talento e del proprio spazio nel mondo, che è un triangolo che oscilla sempre tra strade fredde, bar dove esibirsi e letti di fortuna. E al triangolo spaziale di Llewyn Davis, si accosta il tempo circolare, che torna continuo e sembra non avanzare mai effettivamente. I fratelli Coen ci accompagnano in una claustrofobica scoperta della settimana di Llewyn, che sembra essere sconclusionata e ai limiti dell’inettitudine sveviana, se non fosse per un gatto che Llewyn insegue, perde e poi ritrova. Il gatto diviene l’unico personaggio dinamico in un film dove la staticità è il file rouge: Llewyn non si muove mai, si lascia sempre trasportare dagli eventi, e quelle poche volte che sceglie, non sa farlo.
Inside Llewyn Davis è immerso in una fotografia tenue, dalle tinte spente e crepuscolari, imbottito da una colonna sonora continua e lieve, come il flebile canto di Llewys, che continua ostinato contro gli scogli della vita.
Io sono Davis
Una canzone amara e malinconica ma attutita da quell’umorismo caustico e dal gusto del grottesco estemporaneo che sono il marchio caratteristico dei fratelli Coen, ancora una volta a segno.
Llewyn Davis è come noi, che gira in tondo nella speranza di trovare una strada da imboccare che possa finalmente percorrere, dimenticando di essere il migliore dei mediocri e tentando di realizzarsi e di costruire un proprio posto nel mondo, mirando a quella spogliazione totale che, mentre espone la persona al soffio gelido della disperazione, lo identifica pur sempre nella vulnerabilità d’essere uomo.