I pro e contro rilevati da insegnanti e studenti sulla didattica a distanza.
Il Corona virus ha stravolto le vite di ognuno di noi, non lasciando di certo da parte i più piccoli. Se prima andare a scuola rappresentava per gli studenti l’incubo mattutino di ogni giorno, oggi sembra essere un privilegio e qualcosa per cui ci si debba sentire fortunati. Avendo infatti il virus contagiato in primis la socialità, i suoi effetti si sono abbattuti anche sull’istruzione nel suo insieme, obbligando le scuole ad utilizzare metodi alternativi per arrivare direttamente nelle case degli studenti, tra questi, primo fra tutti, la didattica a distanza.
DAD
Il 4 marzo il Governo disponeva la chiusura di tutte le scuole: una misura prudenziale l’avevano definita i piani alti quando il virus sembrava ancora qualcosa di troppo lontano e solo due settimane sarebbero bastate per il ritorno alla normalità. Qualcosa di temporaneo prima, di necessario dopo e di definitivo e abituale poi. Pochi giorni dopo, sui profili social del Ministero dell’Istruzione, veicolo più che mai utile per indirizzare i messaggi ai più giovani, appariva infatti l’hashtag #lascuolanonsiferma, forse quando si era già capito che un modo alternativo di fare scuola senza gli sguardi, gli abbracci, i passaggi di bigliettini sotto i banchi, qualora fosse esistito, andava trovato. Ecco che abbiamo sentito parlare in tutti i notiziari di DAD, la didattica possibile solo in un’era storica come quella che viviamo, in cui gli apparecchi elettronici, tante volte ingiustamente demonizzati, sono accorsi in aiuto a migliaia di studenti e insegnanti mettendoli in contatto, cercando di salvare, per quanto possibile, l’istruzione. La didattica a distanza si avvale infatti di varie modalità come la registrazione di audio o video lezioni da parte del docente e l’ invio o il caricamento di queste tramite una piattaforma scelta dalla scuola. Uno sguardo verso il futuro ma anche verso il passato: non successe qualcosa di troppo diverso quando Alberto Manzi tra il 1960-1968 attraverso il programma televisivo Non è mai troppo tardi, aiutò circa un milione e mezzo di italiani , allora analfabeti, a conquistare la licenza elementare, entrando nelle case attraverso delle lezioni mandate in onda ogni sera, dopo l’orario di lavoro. La DAD quindi forse non rappresenta proprio una novità del 2020: non sono pochi i problemi e i dubbi su di essa, ma bisogna riconoscerlo: senza di lei, chi avrebbe potuto salvare l’anno scolastico?
Diritto allo studio a rischio?
Non poche sono state infatti le ombre gettate da docenti, alunni e genitori sulla didattica a distanza e non solo per ragioni legate alla mancanza che l’essere umano, in quanto animale sociale, ha sviluppato nei confronti della socialità, bisogno naturale di cui il dittatore silenzioso ci ha privati. Le perplessità sulla DAD infatti sono molto più profonde e si intrecciano nelle trame della società, facendo emergere e sottolineando annosi problemi, in seguito alla pandemia, sempre più grandi. Primo fra tutti la disparità. La nostra Costituzione enuncia agli art. 33 e 34 il diritto allo studio congeniando un’istruzione accessibile a tutti e non solo riservata ai più abbienti come un tempo, un’educazione sviluppata all’interno degli edifici scolastici volta a concretizzare l’uguaglianza. Questo si rende possibile solo attraverso un ruolo attivo dello Stato, primo soggetto incaricato di rimuovere gli ostacoli, assicurando a tutti un futuro a prescindere dal proprio background, dalle proprie origini, ma solo in quanto esseri umani con pari dignità. Si può dire che la DAD è rispettosa di tutti questi capisaldi stabiliti dalla Costituzione? Secondo i dati Istat raccolti nel biennio 2018-2019, quindi alla vigilia del dilagare della pandemia, il 12,3% dei ragazzi tra 6 e 17 anni non possedeva un computer o un tablet a casa e la connessione ad Internet non era ancora comune in tutte le famiglie perché circa il 25% non ne disponeva nel 2019 l’accesso. Ora, con la crisi economica scaturita in seguito alla pandemia, si può immaginare che questi dati non hanno fatto che crescere. Come si può pensare che tutti gli studenti abbiano potuto accedere a questa innovativa forma didattica non disponendo dello strumento principale? Per non parlare di tutti quei giovani studenti con bisogni educativi speciali, o disturbi dell’apprendimento, che hanno più degli altri bisogno del contatto e di una didattica improntata su percorsi di personalizzazione e che forse, almeno in una prima fase, hanno sofferto molto la novità. Senza pensare che, un altro tasto dolente, riguarda la formazione dei docenti concernente l’uso degli strumenti tecnologici, che forse , difronte a questo nuovo modo di fare scuola, si sono sentiti a volte inadeguati, incapaci o non all’altezza, nonostante gli anni di studio alle spalle. Quali saranno le conseguenze a lungo termine di tutto ciò?
Gli strumenti messi in campo dal ministero
Efficacia, uguaglianza, formazione sono i paradigmi della didattica e le coordinate grazie alle quali il Governo tutto e il Ministero dell’Istruzione si sono mossi per far fronte all’emergenza una volta preso consapevolezza che la didattica a distanza non sarebbe stata un momento passeggero. Per questo, coscienti delle disparità potenzialmente create dalla DAD, già nel decreto Ristori furono stanziati 85 milioni di euro per la didattica digitale integrata, destinati all’acquisto di dispositivi portatili e strumenti per le connessioni disponibili nelle casse delle scuole, più altri 3,6 milioni di euro per le scuole secondarie di secondo grado. Poi quest’estate si è lavorato a lungo per garantire agli studenti un ritorno sui banchi attraverso alcune modifiche agli edifici, la distribuzione di igienizzanti e di mascherine. Ma forse non è bastato: la seconda ondata è arrivata prepotentemente non di certo solo a causa della riapertura delle scuole, ma ha travolto anche i sogni degli studenti di ritornare tra i banchi. Guardando al panorama odierno, la realtà scolastica appare più che mai frammentata: alcuni Governatori regionali hanno disposto la chiusura delle scuole, altri ancora, come nella regione Puglia, hanno lasciato la possibilità alle singole classi di scegliere tra didattica in presenza e a distanza e ancora una volta a pagare le spese della crescita della curva epidemiologica sono stati i più piccoli. Guardando ai Paesi europei pare però interessante vedere quanto tra bar chiusi, ristoranti serrati e negozi sbarrati le scuole siano state per i Governi un punto fermo: la didattica in presenza non è andata in lockdown e gli alunni, mentre il mondo si è fermato, hanno continuato a frequentare la scuola. Quale sarà il prezzo da pagare a lungo termine per le scelte fatte? Siamo pure tutti consapevoli che qualcosa con cui abbiamo dovuto far i conti necessariamente è stato il bilanciamento degli interessi e dei diritti entrati in gioco e, mai come questa volta, in conflitto: interessi economici, diritto allo studio, ma primo fra tutti quello alla salute. E’ questo che ci ha guidato, spinto a fare sacrifici, resi disponibili a rinunce di vario tipo. Ma anche il diritto al futuro non è da sottovalutare e l’investimento sulle giovani menti dovrebbe essere una priorità per lo Stato. Pensi che per il nostro lo sia stato?