Gli “Zoo umani”: un “luogo di studio” per la nascita dell’antropologia filosofica

La nascita dell’antropologia e il suo collegamento con la nascita degli zoo umani. 

Resti dello zoo umano di parigino

 

Verso la fine del 1800 nascono in Europa i tristemente famosi zoo umani, luogo di studio per Antropologi e di vacanza per le persone più abbienti che trovavano “curiose” le popolazioni di diversa etnia.

Cosa sono gli zoo umani?

Gli zoo umani sono stati in passato, soprattutto tra il 1870 e il 1940, esposizioni al pubblico di popolazioni straniere, in genere catturate, imprigionate e obbligate a restare chiuse in recinti o gabbie. Chiamati anche esposizioni etnologiche, gli zoo umani erano esposizioni pubbliche del XIX e XX secolo di esseri umani di altre etnie, in genere in condizioni di schiavitù, esposti solitamente in un cosiddetto stato naturale o primitivo. Le mostre, frutto di cultura coloniale e razzista, spesso enfatizzavano le differenze tra gli stili di vita europei occidentali e quelli di altri popoli europei o non europei. Gli zoo umani erano basati su una concezione razzista e coloniale dell’umanità, intrisa spesso di razzismo scientifico e darwinismo sociale; alcune di queste teorie collocavano i popoli nativi soprattutto dell’Africa, dell’Oceania, Asia e Americhe, in una scala evolutiva inferiore, a metà tra le grandi scimmie e gli europei. Le esposizioni di esseri umani sono state condannate in quanto disumane e razziste. Questo tipo di zoo non sono del tutto nuovi alla popolazione poiché fin da dopo la scoperta dell’America si verificarono subito le prime collezioni di “curiosità esotiche” tra cui anche esseri umani “strani”. Questa tipologia di esposizione si aveva anche durante i famosissimi EXPO dove venivano messi in mostra gli esseri umani “diversi” onei circhi, famosissimo è il circo Barnum con i suoi esseri umani da attrazione e rappresentato nel film “The Greatest Showman”. Curiosita: durante il Rinascimento, i Medici attrezzarono un grande giardino zoologico in Vaticano. Nel XVI secolo, il cardinale Ippolito de’ Medici possedeva una collezione di persone di diverse razze e animali esotici. Egli disponeva di un gruppo di cosiddetti barbari, di oltre venti lingue diverse; tra essi vi erano anche Mori, Tartari, Indiani e Africani.

 

La venere ottentotta di Baartman

 

La nascita dell’antropologia e la distinzione in filosofica e culturale.

In filosofia, il termine antropologia aderisce per lo più al significato etimologico (il lemma è composto dal prefisso antropo-, dal greco άνθρωπος – “essere umano” – più il suffisso -logia, dal greco λόγος – “discorso”) di scienza o di insieme delle scienze riguardanti la natura umana. L’origine dell’espressione antropologia filosofica sibtrova nell’opera “La posizione dell’uomo nel cosmo” (1927) di Max Scheler considerato il padre di tale disciplina. Scheler a sua volta nello sviluppare l’antropologia filosofica si rifà indirettamente alla filosofia della natura e all’ontologia della persona di Schelling. Oltre a lui degni di nota sono altri due antropologi tedeschi che hanno contribuito balla nascita del corpus della disciplina: ovvero Arnold Ghelen ( L’Uomo. La sua Natura e il suo posto nel mondo, 1940) ed Helmunt Plessner ( II gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, 1928 ). I primi studi che possiamo definire antropologici però risalgono ad un epoca ben più lontana, collegata alla curiosità della scoperta e alla voglia del mondo occidentale di studiare il diverso. L’antropologia infatti vede la nascita del suo statuto nel 1800 e i primi studi “sul campo” presso le riserve dei pellerossa in America o nei tristemente famosi e sopracitati zoo umani in Europa. Nel tempo nascerà anche l’antropologia culturale che si occupa dello studio dei rapporti umani della società, anche questa disciplina vede alla sua base questi studi in luoghi speciali che rientravano nella cultura del tempo. Nel 1906, ad esempio, l’antropologo Madison Grant, capo della Wildlife Conservation Society, espose il congolese pigmeo Ota Benga al Bronx Zoo di New York insieme a scimmie e altri animali. Agli ordini di Grant, un importante eugenista, il direttore dello zoo William Hornaday mise Ota Benga in mostra in una gabbia con gli scimpanzé, poi con un orango di nome Dohong e un pappagallo, e lo definì l’anello mancante, ad indicare che in termini evolutivi gli Africani come Ota Benga fossero più vicini alle scimmie che agli Europei. Scatenò così le proteste degli ecclesiastici della città, sebbene il pubblico accorresse all’esibizione

 

 

Un antropologo preso dai suoi studi sul “campo”

Il pensiero di oggi riguardo agli zoo umani.

Il concetto di zoo umano oggi non è sparito, anzi ha subito una mutazione ma è ancora ben presente in diversi paesi del mondo. Anche dopo la seconda guerra mondiale e l’avvento del nazismo questa forma di razzismo non fu del tutto debellata. Ci sono diverse testimonianze di come questo tipo di “esposizione” si ancora presente nella cultura dell’uomo. Nell’Aprile 1994, un esempio di villaggio sulla Costa d’Avorio è stato presentato come parte di un safari africano in Port-Saint-Père, vicino Nantes, in Francia, in seguito chiamato Planète Sauvage. Ancora piu vicino a noi possiamo citare un fatto emblematico avvenuto nel 2007: in Australia lo zoo Adelaide organizzò uno zoo umano che mostrava un gruppo di persone che, come parte di uno studio, aveva chiesto di essere ospitato in un recinto precedentemente destinato alle scimmie, ma tornavano a casa di notte.  Essi parteciparono a diversi esercizi, perlopiù per il divertimento degli spettatori, a cui vennero chieste delle donazioni per un nuovo recinto per scimmie. La domanda che si può sollevare a questo tipo di “expo” è questa: si può tollerare ancora questo tipo di divertimento nel XI secolo? Io non mi esprimo e lascio ai posteri l’ardua sentenza.

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