Francesco Renga, una vita aspettando la donna angelo del dolce Stilnovo

I connotati eterei, attribuiti alla donna amata di un amore che nasce dal cuore gentile del poeta, sono gli stessi che il nostro cantautore italiano Francesco Renga, ha ora aspettato, e ha ora trovato nella sua donna.

Il dolce Stilnovo, corrente letteraria dell’Italia bassomedievale, che rintraccia il giovane Dante tra i suoi massimi esponenti, delinea la fisionomia della donna oggetto dell’amore del poeta, nonché della sua lirica, fino ad assimilarla ad una creatura al cospetto di Dio, un angelo. La perifrasi di Renga, che si articola in almeno due versi nella sua canzone “Era una vita che ti stavo aspettando”, è il pennello che dipinge una creatura celeste, la cui dimora è il Paradiso.

La genesi del dolce Stilnovo

Sovente si etichettano certi periodi in epoche postume agli stessi. L’etichetta dolce Stilnovo, o Stil Novo, si deve a Dante, dopo che l’ha superato, in Purgatorio XXIV, nel sesto girone dei golosi, mette in bocca a Bonagiunta Orbicciani una terzina affermante:

“O frate, issa vegg’io», diss’elli, «il nodo
che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!”

Rispose: “O fratello, ora capisco quale impedimento ha trattenuto me, il Notaro (Giacomo da Lentini) e Guittone al di qua di questo ‘dolce stil novo’ che sento!”, la parafrasi. Bonagiunta sembra riconoscere la linea sottile che divide la tradizione letteraria prima e dopo Dante, prima e dopo lo Stilnovo, e indirettamente veicola il messaggio dell’insuperabilità e della grandezza dantesca, oltre che l’etichetta della scuola. Ricordiamo che con il termine scuola si intende anche una corrente. Lo Stilnovo è una corrente letteraria che nasce a Firenze negli ultimi anni del 1200, altamente elitaria, con un contenitore di meno che una decina di aderenti affluenti da varie parti della Toscana: Guido Cavalcanti, considerato il capostipite, Dante Alighieri come abbiamo prima affermato ed amicus sui Cino da Pistoia, i principali. Il carattere elitario deriva dal filtro posto da Guido Guinizelli, iniziatore e padre del nuovo corso poetico a detta del giudizio di Dante. Questi, nel suo componimento “Al cor gentile”,  afferma che può amare chi ha un cuore nobile, che ha un cuore nobile chi si nutre di conoscenza, e che quindi può fare poesia solo una piccola cerchia di eletti.

I caratteri del dolce Stilnovo

Se lo Stilnovo si guardasse allo specchio avrebbe molto della scuola poetica siciliana e della lirica provenzale: l’amore è il tema principale, come fosse l’unico possibile. Ma adesso al trobar clus si preferisce il trobar leu; da un punto di vista stilistico la lirica diventa lieve, facile e comprensibile. Lo stesso accade da un punto di vista metrico, che sceglie come prediletto il sonetto anziché ad esempio la canzone. Ma la frattura più grande si avverte nei contenuti. Nasce, in contrapposizione all’amore guittoniano visto come male fisico e morale, galeotto che conduce alla morte, la concezione di un amore salvifico che ha a che fare con la contemplazione del miracolo delle virtù fisiche e morali della donna angelo. Che la bellezza sia cosa celeste, opera di Dio, è complimento dei più comuni in tutta la lirica mai esistita. Nella nuova interpretazione della metafora donna-angelo si evince l’equazione tra angelo e intelligenza. Come le intelligenze angeliche, la donna ha una funzione di tradurre in amore, la potenza del cor gentile. La novità dello Stilnovo ha fondamenti filosofici e teologici spessi. La stessa intensificazione dell’elemento visivo, luminoso, le donne fanno “tremar di claritate l’aere”, nasce dall’estetica metafisica della luce. Se in Cavalcanti la donna è paragonata a una dea e quindi resta pagana, tanto è vero che il poeta deve giustificarsi davanti a Dio, rappresentativo è il sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” del Dante minore della Vita Nova.

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente e d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova;

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.

“Era una vita che ti stavo aspettando”

“Era una vita che ti stavo aspettando” è uno dei pezzi di Francesco Renga, contenuto nell’album Tempo Reale, uscito in quel 2014. Il tema sufficiente e necessario è quello amoroso. Il cantautore si mostra sin dall’inizio ipersensibile alla visione della donna amata.

Se fossi tu,
al posto mio
ad osservarti appena ti alzi e ti muovi
e con le mani ti accarezzi i capelli.
Se fossi tu
chissà se riusciresti,
ad indossare per un’ora i miei occhi
e fissarti finché non ti stanchi.

Osservare, anzi fissare, la donna mentre si alza, si muove e si accarezza i capelli, stanca gli occhi dell’innamorato, come quando “li occhi no l’ardiscon di guardare”. L’amoris causa è esposto nel ritornello della canzone.

Perché non solo sei bellissima,
ma la più bella del mondo.

Una bellezza qualunque non avrebbe questi effetti collaterali. Deve dunque trattarsi di qualcosa che va oltre la dimensione terrena. E il cantautore non la cela.

Guardo il cielo sopra la città per cercare il paradiso
e poi lo trovo sopra il tuo viso.

Il topos dello Stilnovo sembra essere più attuale che mai in questo componimento. L’innamorato è al cospetto di una donna angelo. Non è necessario che guardi sopra la sua testa per protendere alla dimensione eterea, basta che contempli le linee speciosissime del viso dell’amata. Stringerla significa allora librarsi in cielo, significa essere spettatore e beneficiario del miracolo che gli ha permesso di salvarsi, miracolo che si chiama amore.

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