Ecco perché la crisi migratoria in Bosnia mette in scacco molte convenzioni internazionali sui rifugiati

La situazione nei Balcani è drammatica: scopriamo quali sono gli accordi che dovrebbero tutelare i profughi.

Non solo Covid: il panorama internazionale presenta diverse altre criticità di cui troppo spesso ci dimentichiamo. Nonostante l’esistenza di strumenti adatti per tutelare tali evenienza a Lipa non sembrano esserci miglioramenti.

Gelo e neve

Temperature ben al di sotto dello zero, neve a palate e poco più di qualche tenda per proteggersi dal gelo: tale descrizione non serve a introdurre racconti storici sulla ritirata delle truppe napoleoniche dalla Russia, bensì a raccontare la condizione di centinaia di migranti stanziati nei pressi di Lipa, in Bosnia. Il campo in cui vivevano è andato a fuoco il 23 dicembre e da allora gli aiuti (giunti peraltro solo da parte dell’esercito bosniaco e della Croce Rossa) sono consistiti in alcune tende e nell’erogazione di un pasto al giorno. La neve e il freddo non stanno aiutando a gestire l’emergenza, che purtroppo si aggrava ora dopo ora. Alcuni profughi non risiedono nemmeno nel campo, alcuni per forza, altri per scelta. Secondo i racconti la vita tra le tende si snoda tra minacce e furti quotidiani. Molti quindi si sono rifugiati in case abbandonate e nella foresta, con la speranza di varcare il confine con la Croazia, da cui però vengono respinti spesso anche in maniera molto poco umanitaria. È da rimarcare il fatto che tali avvenimenti non si stanno consumando in qualche remoto angolo lontano mille miglia dalla civile Europa. Siamo nel cuore dei Balcani, a due passi da casa nostra. Ciononostante pare che non si sia ancora trovata la formula per assicurare una soluzione a tutto questo, pur essendoci tutti i mezzi per poterlo affrontare.

Le Convenzioni

Anche se all’apparenza non sembra così, esistono da decenni norme di diritto internazionale che servono a tutelare i rifugiati e figure assimilabili, come profughi e migranti di varia provenienza. Il framework presenta sicuramente delle incertezze, che stanno alla base delle situazioni estreme come quella di Lipa, ma i principi generali sono molto chiari e come tali andrebbero applicati. La consapevolezza dell’esistenza di una questione rifugiati si formò dopo la seconda guerra mondiale: gli Stati si adoperarono per stabilire delle regole per regolamentare la protezione di chi si sposta dal proprio Paese di origine a causa di eventi che mettono a rischio l’incolumità. La base è data dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la quale con l’articolo 14 sancisce che chiunque ha il diritto di cercare asilo in un altro Paese in caso di persecuzione. Pochi anni dopo, nel 1951, si aggiunse un altro pilastro a questo iniziale principio. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati stabilisce una assunzione di responsabilità da parte degli Stati sulla questione: il fine di questo principio sarebbe quello di evitare che i flussi di rifugiati siano causa di attrito tra gli Stati, sia quelli di origine che quelli di destinazione. La Convenzione di Ginevra dà nel suo primo articolo la definizione di rifugiato: “Chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi“. L’articolo 33 integra la definizione rifugiato stabilendo il principio di non respingimento, secondo il quale non è consentito non accettare o rimpatriare un rifugiato che proviene da luoghi in cui la sua vita sarebbe in pericolo.

La gestione migratoria dell’UE

L’Unione Europea abbraccia un territorio che la storia ci ricorda essere sempre stato meta di migrazioni. Anche oggi questi fenomeni non si sono arrestati e i rifugiati nei Balcani sono parte di uno dei flussi provenienti dall’Asia, in particolare Pakistan e zone limitrofe. Negli ultimi anni i volumi migratori sono aumentati così tanto da aver causato attriti con gli Stati di provenienza ma anche tra Stati membri dell’Unione a causa della difficoltà nel controllare le frontiere e nello stabilire sistemi di accoglienza efficienti e in grado di analizzare le domande di asilo e protezione internazionale. Per fronteggiare una situazione sempre più intricata dal 2015 l’UE distingue i migranti in due macro categorie. La prima è quella dei migranti economici, la seconda quella dei richiedenti asilo. L’approccio normativo cambia mettendo dei limiti alla possibilità dei migranti di richiedere lo status di rifugiato e la conseguente protezione internazionale. Inoltre è stato varato il sistema degli hotspot per coordinare al meglio le masse in arrivo: in Italia abbiamo questi centri nevralgici in luoghi di cui spesso si sente parlare, come Lampedusa. In attesa che la domanda di asilo venga analizzata i migranti vengono dunque smistati in queste strutture. Nonostante queste e molte altre misure siano state dispiegate ancora si verificano episodi come quello di Lipa, con annessi Stati che si rifiutano di permettere il passaggio di frontiera: ecco perché la situazione balcanica fa apparire fragile l’intero sistema.

 

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