Ecco come “Munch-Il grido interiore” diventa storyteller di gioie e angosce

Pennellate vigorose e colori decisi per dipinti che sono molto più di fotografie sterili.

A ottant’anni dalla scomparsa dell’artista, la città di Milano ospita una mostra che rende omaggio alla sua umanità.

La mostra

A partire da oggi, sabato 14 Settembre, fino a domenica 26 gennaio 2025, il Palazzo Reale di Milano ospiterà ben 100 opere di un artista che ha fatto della rappresentazione dei tormenti dell’uomo moderno il suo marchio di fabbrica: Munch. Conosciuto soprattutto per “L’urlo“, il pittore norvegese ha certamente lasciato il segno in un mondo, quello dell’arte figurativa, che come nient’altro si è reso portavoce dei cambiamenti sociali e delle rivoluzioni morali che hanno colpito l’Occidente a cavallo tra il diciannovesimo e ventesimo secolo. La mostra, non a caso intitolata “Munch – Il grido interiore” è promossa dal Comune di Milano e prodotta in collaborazione con il Museo Munch di Oslo, anche grazie al patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia e del Ministero della Cultura. Visitare quest’esposizione non vuol dire solo osservare delle tele cercando di apprezzare le orme di pennellate vigorose. Camminare tra le sue opere, studiarle da vicino diventa un’opportunità, un’occasione per entrare nella mente di un artista che come pochi altri ha deciso di esternare ciò che aveva dentro. Con Munch, infatti, un quadro non è semplicemente un quadro, bensì una fotografia di uno stato d’animo, di un’emozione. Per questo, più che soffermarsi sulla sua opera più famosa, nell’articolo che vi apprestate a leggere, si punta a vedere come nelle creazioni sue e di altri suoi contemporanei anche i paesaggi fossero molto più che semplici colli o fiumi.

astronauti.it

Espressione dell’anima

Ogni artista è figlio della propria epoca. Logico. Non dovrebbe stupire, quindi, se almeno in parte i dipinti di Munch ci rimandano alle opere di Gauguin, Van Gogh e Toulouse-Lautrec. E no, non è per le pennellate pastose, né per i colori vivi, a volte troppo accesi, troppo aggressivi. Le affinità tra tutte queste creazioni vanno ben oltre le sfumature di colore, superano la tecnica per toccare l’anima. Se nel corso del sedicesimo e diciassettesimo secolo dipingere un paesaggio voleva dire semplicemente riprodurre fedelmente le distese di campi che si prolungavano dinanzi agli occhi dell’artista o i ruscelli che giocosamente scorrevano poco distanti dalla tela stessa, con il Romanticismo le cose cambiano. In artisti come William Turner i giochi di luci e ombre prevalgono sulla rappresentazione stessa. In “Tempesta”, quindi, il caos è più una sensazione che un’immagine precisa. Lo stesso vale per “La notte stellata” di Van Gogh dove il vento e la luna stessa sono solo perfetti nascondigli dei tormenti interiori del pittore, silenziosamente espressi dalle pennellate vorticose che arricchivano il cielo, i monti e il cipresso in primo piano. Una natura forte al punto da diventare portavoce dell’anima. È proprio alla natura che anche lo stesso Munch affida non solo i suoi sentimenti, ma anche verità universali, a volte troppo scomode da esprimere a parole.

 

Vita su tela

A inizio Novecento la guerra e la disperazione che ne è conseguita hanno reso questa necessità di espressione ancora più forte. I piccoli conflitti armati e le grandi guerre civili avevano, però, fin troppo scosso gli animi. Così, ciò che rimaneva di una rappresentazione più o meno fedele della realtà scomparve, lasciando il posto a forme geometriche e macchie di colore che mai prima d’ora avevano assunto tanta potenza espressiva. Si pensi, ad esempio, ai paesaggi di Kandinsky o alle “confuse” creazioni di Pollock. Questi artisti, queste opere, in termini di espressività potenti tanto quanto quelle di Munch, ci fanno capire che dipingere non vuol dire copiare. Dipingere, fare arte vuol dire amare se stessi, indagare nel proprio animo, nella propria quotidianità per riuscire a donare una parte di noi agli altri. Questo è quello che gli organizzatori della mostra, guidati dall’immensa Patricia G. Berman, hanno cercato di fare: hanno pensato non tanto a un’esposizione di opere, quanto a un’esposizione di vita.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.