Ecco come malgoverno e corruzione influenzarono la vita politica nell’antica Roma

Le dinamiche che caratterizzarono il giro di mazzette nella Roma repubblicana del III secolo a.C.

Capita spesso di leggere un giornale e imbattersi nell’ennesimo scandalo di corruzione e tangenti. Ma non ci salti in testa di pensare che gli scandali di corruzione siano una novità della politica contemporanea. Infatti già nell’antica Roma si parlava di malgoverno e corruzione.

Un nuovo assetto amministrativo

La corruzione nell’antica Roma fu uno degli elementi che determinarono la crisi ed il declino di questa grande potenza. Lo sviluppo di questi fenomeni si ebbe a partire dal III secolo a.C. quando la Repubblica di Roma, dopo la prima guerra punica aveva annesso la Sicilia e la Sardegna come province, dunque con un’amministrazione differente da quella presente nel suolo italico peninsulare.

L’Italia (intesa territorialmente) presentava un sistema amministrativo variegato che in generale seguiva la logica del foedus (accordo) e dell’alleanza, secondo cui le varie comunità sottomesse (i socii) mantenevano una buona autonomia interna, erano esenti dal pagare i tributi ma dovevano fornire truppe militari a spese proprie.

Nelle province, invece, l’assetto amministrativo prevedeva meno autonomia interna (con varie e numerose eccezioni) e imponeva alle popolazioni il pagamento di tributi, investiti poi dallo stato per mantenere l’esercito, in opere pubbliche e commerci.

Le società di pubblicani

La questione della riscossione delle tasse veniva affidata a società di pubblicani, privati cittadini particolarmente ricchi, spesso appartenenti al ceto degli equites (cioè i cavalieri). Disponendo di risorse adeguate, tali società gareggiavano per gli appalti provinciali promettendo grandi somme.

Di conseguenza la grande “ambizione” economica dei pubblicani ricadeva sul popolo, spesso tassato maggiormente in modo che la società di turno potesse incassare anche qualche illecita commissione.

Bisogna mettere in evidenza anche lo stretto legame che scaturiva tra politici e pubblicani, una sorta di rapporto circolare di favori che portava al compimento degli interessi di entrambi. In questo senso la competizione tra le società rispecchiava a pieno la competizione politica.

Non di rado gli stessi senatori posti al governo delle province vengono accusati di concussione, creando accordi segreti con i pubblicani di turno. Inoltre, si istituirono tribunali speciali per la gestione del malgoverno provinciale, ma essendo la giuria stessa formata da ex-senatori, difficilmente veniva fatta giustizia.

La “Lex Claudia”

Ma tra i vari provvedimenti che vengono presi, uno in particolare ci viene descritto da Tito Livio, e risale al 218 a.C., dunque agli albori della seconda guerra punica. 

Si tratta della Lex Claudia de senatoribus, una legge proposta dal tribuno della plebe Quinto Claudio. L’obiettivo della legge era evitare conflitti di interesse tra i senatori che intendevano dedicarsi anche ai commerci. Era inammissibile infatti che le scelte in merito alla politica estera dello stato potessero essere influenzate dagli interessi economici personali dei singoli senatori. Dunque la legge vietava espressamente che i senatori e i loro figli possedessero navi dalla capienza di 300, quindi impediva a tutti gli effetti di effettuare commerci su larga scala. 

Tuttavia, i furbi senatori riuscivano comunque ad aggirare la legge, magari affidando l’incarico ad un prestanome con relativa commissione. I temi che riguardano casi di corruzione rappresenteranno un importante strumento politico a favore del popolo, portando però ben pochi risultati concreti.

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