Alzi la mano chi almeno una volta avrebbe preferito evaporare al primo dicembre piuttosto che occuparsi dei regali di Natale. Un compito che può essere gravoso, se siamo preoccupati di non deludere le aspettative altrui. Oppure semplicemente noioso, magari perché l’idea di dover offrire qualcosa a dei parenti troppo lontani o troppo vicini non ci entusiasma. Ma d’altronde, lo spirito natalizio val bene una sciocchezzuola, o un dono riciclato. Come si dice in questi casi, è il pensiero che conta.
Fino a che punto il dono si presenta come gesto gratuito? Siamo necessariamente vincolati a contraccambiare? C’è una buona notizia per tutti coloro che ogni anno non possono fare a meno di interpretare lo Scrooge di turno: il dono perfetto, per come lo intendiamo, è impossibile. E la parte migliore è che braccine corte o aridità sentimentale non c’entrano. Comprendere questo significa riprendere alcune riflessioni del filosofo Jacques Derrida, maestro del decostruzionismo.
“Oh ma non dovevi”, o dell’inutilità del dono
Pietra miliare dell’antropologia culturale, il Saggio sul dono di Marcel Mauss contiene le caratteristiche di una pratica basilare per le società arcaiche, sintetizzabile nella triade dare-ricevere-ricambiare.
Dare per esibire potenza. Ricevere per non mancare di rispetto, pena l’esclusione dalla comunità. Ricambiare per rinsaldare il legame.
In poche parole, questo libero scambio di beni risponde a una socialità obbligatoria tutt’altro che disinteressata. I partecipanti perseguono un’utilità.
Eppure donare dovrebbe essere un atto gratuito, mosso dall’affetto, o perlomeno così suona alle nostre moderne orecchie. Infatti non chiederemmo mai di contraccambiare i regali che ci accingiamo a fare. Almeno non esplicitamente. Ma quando le nostre aspettative vengono confermate, di solito reagiamo con un “oh ma non dovevi” abbastanza ipocrita.
Derrida muove da questo punto la sua indagine linguistica-filosofica. Inserendosi nel concetto di dono, ne esalta la problematicità, fino a farne scoppiare le contraddizioni per giungere a esiti paradossali.
Gratuità e vincolo
Il dono, per il filosofo francese, implica sempre una forma di restituzione materiale e simbolica. Il che significa che devono esserci:
- uno scambio di oggetti
- il riconoscimento consapevole del soggetto donatore e ricevente in quanto tali.
Chi offre innesca il circuito, chi riceve non può sottrarsi alla sensazione del debito. Tempi e modalità di estinzione non sono prestabiliti, ma cadere in un rapporto vincolato è inevitabile. Quindi la gratuità del dono va perduta.
L’assurda essenza di un dono autentico consiste nel nascondere la propria natura. La transazione dovrebbe svolgersi nell’inconsapevolezza di entrambe le parti. Nessuno dovrebbe sapere di dare e ricevere qualcosa, solo così verrebbe garantita la pura generosità. Nel momento in cui il dono si palesa, si riattiva l’incantesimo della reciprocità.
Scambiarsi regali non solo equivale a fingere (seppur in buona fede) gratuità, ma anche a scambiarsi contraddizioni concettuali. Ancora peggio se vi ritroverete il classico maglione della zia col primo piano di Rudolph.

Derrida vuole rubarci il Natale?
Ora potete argomentare con amici e parenti sul perché vi siete rifiutati o vi rifiuterete di elargire doni, nonostante tutti i saldi e i Black Friday di questo mondo. Ricordate comunque che, se volete restare fedeli alla linea di Derrida, dovete astenervi pure dal riceverli. Forse l’autore odiava il Natale a tal punto che un giorno le sue analisi lo faranno implodere a causa di un cortocircuito logico. O forse la vera morale di tutto ciò è un’altra: continuare ad accontentarci di regali imperfetti, consapevoli che il donare è un gioco di vincoli, forme di gratificazione, aspettative e reciprocità. E affetto, perché no.
Luca Volpi