Del dono e, in particolare, dell’obbligo di ricambiare i regali

Nelle civiltà arcaiche, gli scambi e i contratti avvenivano sotto forma di donativi teoricamente volontari, ma in realtà fatti e ricamati per obbligo (o obbligazione). In questo articolo, verrà analizzato il carattere volontario e tuttavia obbligato di tali prestazioni, fenomeni sociali totali che investivano ogni tipo di istituzione (religiosa, economica, familiare e politica).
Cerimonia Potlàch in una tribù del Nord-Ovest Americano
Qual è la forma di diritto e di interesse che nelle società arcaiche fa sì che il donativo ricevuto sia obbligatoriamente ricambiato? La risposta si avrà valutando una forma permanente di morale contrattuale (legame fra diritto reale e diritto personale), e inoltre forme e idee che ancora oggi si ritrovano nello scambio. Si vedrà che esiste una sorta di mercato archeologico prima del mercato monetario e dell’introduzione del contratto, basato su morale e economia. Due fattori che operano ancora oggi.

Non ho mai trovato uomo tanto generoso

e tanto munifico nel nutrire i suoi ospiti

che “ricevere non fosse ricevuto”,

né uomo tanto… (l’aggettivo manca)

del proprio bene

che ricevere in cambio gli fosse sgradito.

(Estratto dell’Havamal, uno dei poemi dell’Edda scandinava)

Non sembra che sia mai esistita la cosiddetta Economia Naturale. Nei sistemi economici e giuridici che hanno preceduto i nostri, non si constatano mai semplici scambi di beni nel corso di un affare concluso tra individui. Innanzitutto, non si trattava di individui ma collettività che si obbligavano reciprocamente e contrattavano; le persone presenti al contratto erano solo morali: clan, tribù, famiglie che si fronteggiavano e si contrapponevano, sia per gruppi, sia per mezzo dei loro capi.

Inoltre, ciò che essi si scambiavano non consisteva esclusivamente in beni materiali e cose utili economicamente. Si trattava soprattutto di cortesie, di banchetti, di prestazioni militari, di riti ecc. di cui la contrattazione era solo un momento e in cui la circolazione delle ricchezze era solo uno dei termini di un contratto molto più generale e molto più durevole.

Queste prestazioni e contro-prestazioni si intrecciavano sotto una forma, a preferenza volontaria, con doni e regali, benché esse fossero rigorosamente obbligatorie, sotto pena di guerra privata o pubblica. L’antropologo Marcel Mauss chiamo un tale usanza: sistema delle prestazioni totali.

Nel Nord-ovest americano le tribù avevano una forma particolare di prestazione: il potlàch (nutrire, consumare). Le tribù molto ricche passavano l’inverno in una festa continua che costituivae al contempo l’assemblea solenne della tribù, disposta secondo confraternite gerarchiche, clan e associazioni. Vi era il principio della rivalità e dell’antagonismo che dominava tutte queste usanze: distruzione puramente santuaria delle ricchezze, per oscurare il capo rivale e, nello stesso tempo, associato.

Vi era prestazione totale nel senso che era tutto il clan a contrattare per tutti, per tutto ciò che possedeva e per tutto ciò che faceva, tramite il suo capo. Ma tale prestazione assunse un andamento agonistico molto spiccato. Essa era essenzialmente usuraria e suntuaria; si assisteva ad una lotta dei nobili per assicurarsi una gerarchia da cui trae ulteriore vantaggio il loro clan.

Marcel Mauss riserva il nome potlàch a questo genere di istituzione che si potrebbe chiamare: prestazioni totali di tipo agonistico.

Sempre parlando di isole, vi sono vari tipi di scambi che investono tutta la vita economica, morale e tribale. Un caso particolare è quello della cerimonia dei kula presso le isole Trobriand, per cui ci si lega in vere e proprie confraternite di doni. È come attraversata da una corrente di doni offerti, ricevuti, scambiati, obbligatoriamente e per interesse, per ostentare grandezza e per compensare servizi, a titolo di sfida e pegno.

Esistono sistemi di prestazioni che vengono pensati in un continuo prendere e dare, con generi simili al nostro salario. Le cose scambiate hanno evidentemente carattere religioso. Tutto il panorama delle isole, continua Mauss, e, probabilmente, una parte dell’Asia meridionale conosce lo stesso sistema giuridico ed economico.

Raffigurazione di un rituale ricollegabile al potlàch nell’Europa del Nord

Il punto nel quale questi sistemi hanno incappato è stata l’incapacità di astrarre e distinguere i loro concetti economici e giuridici. D’altra parte non ve ne era la necessità. Così come non vi era la necessità di distinguere il capo clan dal clan stesso.

In alcuni dialetti si usa persino lo stesso termine per designare sia il dare che il ricevere, il vendere e il comprare. Si tratta di tribù che non hanno sviluppato l’idea di vendita o di prestito ma campiono operazioni giuridiche ed economiche che hanno la stessa funzione.

Dunque, una parte dell’umanità, relativamente ricca e laboriosa, ha dimostrato e dimostra di saper scambiare cose considerevoli, sotto forme e per ragioni, diverse da quelle che noi conosciamo.

Da queste osservazioni su alcuni popoli malaysiani e polinesiani, secondo l’antropologo francese, scaturisce già un’immagine ben ferma del dono. La vita materiale e morale, lo scambio, vi operano sotto una forma disinteressata e obbligatoria nello stesso tempo. L’obbligazione si esprime in modo simbolico e collettivo.

Le cose oggetto di scambio non sono mai completamente svincolate dagli individui che le scambiano. Il permanere della influenza delle cose scambiate, vero simbolo della vita sociale, non fa che esprimere il modo in cui i sottogruppi di queste società frammentate sono costantemente connessi e sentono di doversi tutto.

Villaggio di nativi Nord-americani in un momento di celebrazione collettiva

Le società indiane del Nord-ovest americano presentavano le stesse istituzioni, più radicali e accentuate. Si direbbe che il baratto vi fosse sconosciuto. Anche dopo un lungo contatto con gli Europei, nessuno dei trasferimenti di beni sembrava assumere forme diverse da quelle dei solenni potlàch.

Le osservazioni che precedono possono essere estese alle nostre società. Una parte considerevole della nostra morale e della nostra stessa vita staziona tuttora nell’atmosfera del dono, dell’obbligo e, insieme, della libertà.

Le cose hanno ancora un valore sentimentale oltre al loro valore venale, ammesso che esistano valori soltanto venali. Non c’è solo una morale mercantile. Esistono persone e classi che conservano i costumi di un tempo, ai quali ci uniformiamo quasi tutti, almeno in certe occasioni.

Il dono non ricambiato rende tutt’ora inferiore e obbligato chi lo riceve, soprattutto quando lo accoglie senza l’intenzione di restituirlo. L’invito deve essere ricambiato, come la “cortesia”. Si scorgono, qui, nella realtà, le tracce del vecchio sfondo tradizionale dei potlàch nobili e affiorano i motivi fondamentali dell’attività umana: l’emulazione tra gli individui dello stesso sesso, questo “imperialismo congenito” degli uomini; lo sfondo sociale da una parte, lo sfondo animale e psicologico dall’altra, ecco ciò che appare. Bisogna dare in cambio più di quanto non si sia ricevuto.

Il “giro” è sempre più largo. Così, quella famiglia contadina, che si limitava a fare la vita più modesta nei giorni normali, si rovinava invece per gli ospiti, in occasione delle feste. Bisogna comportarsi da “gran signori” in queste occasioni. Da noi vige ancora questo uso anche nelle corporazioni liberali.

Le cose vendute hanno ancora un’anima, sono ancora seguite dall’antico proprietario e lo seguono a loro volta. Molte usanze europee mostrano che bisogna staccare la cosa venduta dal venditore, per esempio: battere sulla cosa che è stata oggetto di vendita ecc.

Si può dire altresì che tutta una parte del diritto, il diritto degli industriali e dei commercianti sia, oggi, in contrasto con la morale. I pregiudizi economici del popolo, dei produttori, sono originati dalla ferma volontà di seguire la cosa da loro prodotta e dalla sensazione che il loro lavoro venga rivenduto senza che essi partecipino al profitto.

Ai nostri giorni, i vecchi principi reagiscono contro le astrazioni dei nostri codici. Si può ben dire, ribadisce Mauss, che tutta una parte del nostro diritto e certi usi consistano nel tornare indietro. E tale reazione contro l’insensibilità romana e sassone del nostro regime è da ritenersi sana e vigorosa. Alcuni nuovi principi giuridici e di costume possono essere interpretati in tal senso.

È occorso molto tempo per giungere al riconoscimento della proprietà artistica, letteraria e scientifica.  Lo scandalo del plusvalore delle produzioni artistiche, mentre sono ancora in vita gli artisti e i loro eredi immediati, ispirò una legge francese del 1923, che dava all’artista e ai suoi aventi causa un diritto di sequela sui plusvalori successivi nelle vendite successive delle opere.

Tutta la nostra legislazione di sicurezza sociale si ispira al seguente principio: il lavoratore ha dato la propria vita ed il proprio lavoro, da un lato alla collettività, dall’altro, ai suoi datori di lavoro; coloro che hanno beneficiato delle sue prestazioni non si liberano da ogni obbligo nei suoi confronti con il pagamento del salario; lo Stato stesso gli deve, unitamente ai suoi datori di lavoro, una certa sicurezza durante la vita.

Per Mauss, tutti questi principi morali e giuridici non corrispondono a un perturbamento, bensì a un ritorno al diritto. Si fanno strada nella realtà la morale professionale e il diritto corporativo. Ritorniamo, dunque, a una morale di gruppi.

Iconografia rappresentate un gruppo di nativi nell’atto di celebrare il rituale del Potlàch

La società circonda l’individuo, animata a un tempo dalla coscienza dei diritti che egli ha e da sentimenti più puri: carità, “servizio sociale”, solidarietà. I temi del dono, della libertà e dell’obbligo di donare, quello della liberalità e dell’interesse a donare, ritornano a noi, nel momento in cui riappare un motivo dominante per troppo tempo dimenticato.

È necessario che l’individuo difenda i propri interessi, personalmente e in gruppo. L’eccesso di generosità e il comunismo sarebbero per lui e per la società non meno nocivi dell’egoismo dei nostri contemporanei e dell’individualismo delle nostre leggi. La nuova morale consisterà certamente in un’equa combinazione di realismo e di idealismo.

Si può e si deve, secondo il pensiero di Marcel Mauss, tornare a qualcosa di arcaico; si ritroveranno così motivi di vita e di azione ancora familiari a società e classi numerose: il piacere del mecenatismo; quello dell’ospitalità e delle feste private e pubbliche. La sicurezza sociale, cooperativa, del gruppo professionale di tutte quelle istituzioni che il diritto inglese fregia col nome di Friendly Societies, valgono di più della semplice sicurezza personale, di più della vita meschina offerta dal salario del datore di lavoro.

Sarebbe anche possibile, secondo l’antropologo, concepire un tipo di società governato da tali principi. Nelle professioni liberali delle nostre grandi nazioni operano già una morale e una economia di tal genere. L’onore, il disinteresse, la solidarietà corporativa si rivelano in contrasto con le necessità del lavoro. Umanizziamo anche gli altri gruppi professionali e perfezioniamo ciò che già esiste in questo campo. Sarà realizzato così quel grande progresso che Durkheim ha spesso auspicato.

Si torna così al fondamento della vita sociale e al fondamento del diritto. Una morale eterna non basata sui termini giuridici ma sugli uomini, perché sono i sentimenti di uomini pensanti in carne e ossa che agiscono in ogni tempo e hanno agito dappertutto.

L’antropologo francese Marcel Mauss

Il sistema che si è proposto di chiamare delle prestazioni totali, da clan a clan, in cui i gruppi si scambiano ogni cosa tra loro, costituisce il più antico sistema economico e giuridico che ci sia dato di concepire. Esso forma lo sfondo da cui si è distaccata la morale del dono-scambio. Ora tale sistema è dello stesso tipo di quello verso il quale si vorrebbe vedere dirigersi le nostre società, così auspicava Mauss.

Così, da un capo all’altro dell’evoluzione umana, non ci sono due tipi di saggezza. Si adotti, dunque, come principio della nostra vita, ciò che è stato e sarà sempre un principio: uscire da se stessi, dare liberamente e per obbligo; Mauss ne era certo: non c’è il dubbio di sbagliare.

 

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.