Da “Ritorno al Futuro” all’entropia: come la termodinamica dà significato al tempo

Una rilettura del film su Marty McFly in chiave termodinamica: come l’entropia fissa una freccia irreversibile per lo scorrere del tempo.

Marty McFly e Doc in una scena del film

Il 21 ottobre 2015 Marty McFly e “Doc” fecero il loro ritorno al futuro. Stiamo parlando dell’incipit del secondo capitolo della saga, festeggiato quattro anni fa con il Ritorno al Futuro Day. In occasione dell’anniversario cercheremo di dare una spiegazione termodinamica allo scorrere del tempo.

La trilogia cinematografica di Robert Zemeckis e il problema del viaggio nel tempo

Nel 1985 nelle sale cinematografiche uscì un film dal titolo Ritorno al Futuro. Era il lavoro di un regista semisconosciuto di nome Robert Zemeckies. In pochi avrebbero potuto prevedere che l’uomo avrebbe diretto pellicole del calibro di Forrest Gump, Cast Away, A Christmas Carol e Allied, ma – ancora più sorprendente – nessuno si sarebbe immaginato che il “giorno” in cui aveva deciso di ambientare la sua pellicola sarebbe diventato un vero e proprio evento della cultura pop.

La trilogia di Ritorno al Futuro, girata tra il 1985 e il 1990, copre diverse ambientazioni temporali: gli anni ottanta, gli anni cinquanta, un ipotetico 2015 e il far west americano. Protagonisti sono il giovane Marty McFly, interpretato da Michael J. Fox, e l’iconico Emmett “Doc” Brown, interpretato da Christopher Lloyd. Colui che ricopre un ruolo ancora più cruciale è, tuttavia, il tempo. L’intera trama è, infatti, basata sul paradosso temporale, sugli eventi alternativi e sull’affascinante idea di una macchina del tempo. Anzi, un’automobile del tempo, una DeLorean munita di un non meglio specificato flusso canalizzatore.

Nonostante l’ipotesi di un viaggio nel tempo sia affascinante, non sarà l’argomento principale di questo articolo. Il nostro scopo è infatti quello di rispondere a una domanda più sottile: che cos’è il tempo? In molti sono i pensatori che hanno cercato di fornire una risposta e innumerevoli sono le filosofie basate sulla percezione del tempo, tuttavia in queste righe seguiremo una ben determinata direzione. Forniremo un significato al tempo basandoci su quella branca della fisica chiamata termodinamica.

La macchina del tempo del film di Zemeckies

Il nostro universo si può descrivere come uno spazio tetradimensionale

Entriamo in una stanza, o meglio una cucina. Sul tavolo c’è un bicchiere pieno d’acqua. Per poter descrivere dove si trova il bicchiere è necessario fornire una distanza relativa all’osservatore (in questo caso noi stessi). Sono sufficienti tre dimensioni, basta dire quanto dista il bicchiere rispetto a noi in lunghezza, altezza e profondità (o quale è la sua posizione relativa a un sistema di riferimento cartesiano a tre assi). In ogni caso, se qualcuno entra all’improvviso nella stanza e sposta il bicchiere, o beve l’acqua, le tre dimensioni non sono più sufficienti.

Ne consegue che, per descrivere correttamente la stanza, bisogna spiegare non solo dove si trova il bicchiere, ma anche quando, ossia a quale istante temporale ci stiamo riferendo. È come se stessimo scattando tante fotografie una in seguito all’altra. In ognuna possiamo osservare la disposizione spaziale, riferita a un certo istante temporale. Se poi lasciamo scorrere tutti questi frame, abbiamo introdotto il tempo per descrivere l’universo. Non è un processo molto diverso dalla visione di un film. Ecco che, al fianco delle tre coordinate spaziali, si accosta una coordinata temporale.

Per ora ci siamo limitati a guardare la scena come spettatori, perciò addentriamoci più a fondo nel discorso. La questione fondamentale che ci insegna l’osservazione è che il tempo ha senso in un unico verso, ossia esiste una freccia ineludibile – o meglio irreversibile – che dice da dove si parte e dove si arriva. Una delle leggi fondamentali della fisica, come potremo discutere nel prossimo paragrafo, è che non è ammesso tornare indietro. Facciamo qualche esempio per poter chiarire questa affermazione. Se siamo in cucina e beviamo il nostro bicchiere d’acqua, dopo non sarà più possibile avere la stessa acqua in quel bicchiere. Certo, potremmo riempirlo nuovamente con una bottiglia, ma anche questa è destinata a svuotarsi. Se poi siamo particolarmente bravi a cucinare potremmo prepararci un frullato per merenda. Partiamo da alcuni frutti, da un po’ di latte o di yogurt e, se vogliamo un frappè, anche da del ghiaccio. Una volta mixati tutti questi ingredienti, tuttavia, non è più possibile tornare indietro. Non possiamo partire dal frullato e riottenere il frutto di partenza, il latte e lo yogurt. Il processo è avvenuto in modo irreversibile. Per capirne il motivo dobbiamo ritornare nella Francia del 1800 e seguire i passi dei primi studiosi della termodinamica.

Un treno a vapore

La seconda legge della termodinamica e il concetto di entropia

Siamo agli inizi del diciannovesimo secolo e la scena della fisica mondiale è occupata dallo studio delle macchine a vapore inglesi. Uno scienziato francese, di nome Carnot, ha per primo un’intuizione relativa all’andamento dei processi dell’universo. In particolare, osservando il carbone che brucia per portare l’acqua nel punto di ebollizione, egli ebbe modo di intuire per la prima volta il concetto di entropia. Si accorse che il carbone portava con sé un alto contenuto di energia (oggi sappiamo che si tratta di energia chimica, ossia quella dovuta ai legami tra gli atomi all’interno del carbone). Tuttavia, quando il carbone veniva bruciato quest’energia si disperdeva sotto forma di calore. La sua tendenza era quella di disperdersi nell’ambiente. È questo uno dei primi significati dell’entropia: una misura della dispersione dell’energia. Nel carbone l’energia è condensata in poco spazio, dunque si ha bassa entropia, dopo la combustione l’energia è invece molto dispersa, dunque si ha alta entropia.

Parallelamente agli studi di Carnot, anche Lord Kelvin e Clausius lavorarono sulla termodinamica. In particolare, essi osservarono che il calore si spostava spontaneamente dagli oggetti ad alta temperatura verso gli oggetti a bassa temperatura, per raggiungere un equilibrio termico. Se per esempio dovessimo prendere un bicchiere e riempirlo in parte di acqua calda e in parte di acqua fredda l’intero sistema evolverà verso una situazione di acqua tiepida. La temperatura finale sarà la media delle temperature iniziali pesata sulla quantità di acqua calda e di acqua fredda iniziale. Ciò che invece non accade mai in natura è il contrario. Non è possibile avere spontaneamente un trasferimento di calore da un corpo freddo a un corpo caldo, in modo che il primo sia ancora più freddo e il secondo più caldo. L’insieme di questi concetti è alla base del secondo principio della termodinamica.

Ciò che ipotizzò Clausius fu che questa unica direzione dei processi termici fosse guidata dall’entropia. In altre parole, i sistemi tendono verso un’omogenea distribuzione della temperatura, ossia una maggiore dispersione dell’energia che, come abbiamo visto prima, implica un accrescimento dell’entropia.

Scambio di calore da un corpo caldo a un corpo freddo

L’entropia non tanto come disordine quanto come dispersione di energia

Risulta opportuno domandarsi come mai, se l’universo tende ad accrescere l’entropia, esistano composti come il carbone, a bassi livelli di entropia. Il discorso è semplice. Il carbone non si è originato con facilità. Ha richiesto centinaia di milioni di anni e innumerevoli quantità di calore e pressione per essere generato. Certo il risultato finale è quello di un combustibile fossile a basso livello di entropia, ma tutti i processi necessari per la sua formazione geologica non hanno fatto altro che aumentare l’entropia dell’universo.

Ora, talvolta l’entropia è definita erroneamente come misura del disordine. Questo termine è fuorviante perché basato su una metafora inaccurata. Pensiamo all’esempio di un bicchiere pieno d’acqua e ghiaccio. Il sistema tende ad evolvere sciogliendo il ghiaccio e dirigendosi verso un’unica fase di acqua liquida. Sembrerebbe quasi che l’universo tenda all’ordine. Pertanto dobbiamo abbandonare questa scorretta metafora dell’entropia. La definizione più corretta, come abbiamo già detto, è quella di dispersione dell’energia. In questo senso l’introduzione del concetto di atomi e molecole ci sarà piuttosto utile.

L’idea di utilizzare atomi e molecole per descrivere l’entropia venne a Boltzmann, nella seconda metà del 1800. Egli definì l’entropia come il numero di microstrati che è possibile cambiare senza che ci si accorga di nulla a livello macroscopico. Per comprendere appieno quest’espressione facciamo un esempio. Se mescoliamo un bicchiere d’acqua stiamo cambiando la disposizione dei suoi microstrati (in questo caso le molecole d’acqua) ma a livello macroscopico non ci accorgiamo di nulla. Guardando il bicchiere dall’esterno sembra uguale a prima, ma all’interno abbiamo cambiato la disposizione di tutte le sue molecole. Se non ci siamo accorti di nulla significa che il sistema era già ad alta entropia. Se invece prendiamo gli ingredienti del frullato (frutta, latte, yougurt) e li mixiamo assieme stiamo facendo la stessa cosa. Stiamo cambiando la disposizione delle molecole di frutta, yogurt e latte, ma all’esterno riusciamo a percepire il cambiamento. Questo significa che il livello iniziale di entropia era molto basso e, frullando, l’abbiamo aumentato.

La frutta e il frullato, un esempio di aumento di entropia

L’entropia come freccia del tempo e la morte termica dell’universo

Grazie a questi concetti si può giungere alla conclusione del nostro percorso. L’entropia fissa una freccia irreversibile del tempo. L’energia tende a disperdersi e l’entropia ad accrescersi e quest’evoluzione è ineluttabile. L’intero universo si può vedere come un grande processo di scambio di calore che tende a raggiungere ovunque la stessa temperatura, ossia lo stesso omogeneo valore di energia. Le stelle (zone a bassa entropia) emettono la loro energia all’esterno e progressivamente muoiono (accrescono la loro entropia). Tutto tende a raggiungere uno stato di massima dispersione delle particelle. Ci sarà un momento in cui, pur cambiando la disposizione dei microstrati, non sarà più possibile distinguere nulla a livello macroscopico. Sarà il momento in cui il tempo cesserà di avere un significato (per lo meno nell’accezione che gli abbiamo fornito in questo articolo). Allora, non sarà più possibile avere alcuno scambio di energia. Sarà il giorno della morte termica dell’universo.

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