Da Baudelaire a Medardo Rosso per riflettere sulla folla e la vita metropolitana

Era il 1863 quando su Le Figaro veniva pubblicata la raccolta di saggi di Baudelaire intitolata “Le paintre de la vie moderne” (I pittori della vita moderna). Sono gli anni questi in cui le città cambiano, e con esse anche la vita delle persone che vi abitano, i ritmi, le abitudini, persino il loro modo di vestire. In questi anni a dire il vero, sta nascendo la vita moderna.

Baudelaire è uno spirito sensibile a questi cambiamenti, ne avverte la vibrazione nell’aria, quasi palpabile, e sceglie di scrivere un saggio in polemica con gli artisti del suo tempo. Lo fa rivolgendosi ad un illustratore, Constantin Guys, l’unico che a suo parere era in grado di cogliere l’animo della folla che invadeva i boulevard, con quel turbinio di vesti e quella mutevolezza instabile e instancabile. Chi si immerge nella folla, scrive il poeta, è al tempo stesso parte di un gruppo e solo, anonimo. La folla confonde, fa perdere la propria identità, perché diventa essa stessa un’identità collettiva, mai ferma, né tantomeno ordinata. Al suo interno gli individui si muovono e camminano senza conoscere chi gli sta accanto. La folla porta dentro di sé un senso di lontananza prossima e anonimato reciproco.

Costantin Guys, Les promeneurs au Bois de Boulogne (Artnet)

In effetti oggi siamo abituati a dare per scontate le grandi folle, ma nella metà dell’Ottocento mai si erano viste così tante persone passeggiare per le vie di Parigi, ascoltare i concerti alle Tuileries, o ancora, ballare e divertirsi in una domenica pomeriggio. In quest’atmosfera febbrile gli artisti vogliono catturare tutte le novità che come una ventata di aria fresca stanno stravolgendo le loro vite. Quello che è il capolavoro di Renoir riprende, come una fotografia, un ballo al Moulin de la Galette in una giornata di sole. Potremo paragonare la scena a quelle che oggi sono le serate di musica e ballo nei locali alla moda, o se vogliamo anche ad un beach party in qualche località balneare. Un luogo di svago, ma soprattutto di incontri, dove vengono create le premesse per fare nuove conoscenze, e dove parlare con degli sconosciuti diventa socialmente accettabile. Se pensiamo alla vita di città ci accorgiamo infatti di quanto sia difficile conoscere nuove persone senza sembrare invadenti, inopportuni, o semplicemente molto strani. Abbiamo quindi bisogno di luoghi creati apposta per questo, dove possono cadere le timidezze e gli imbarazzi che normalmente ci frenano.

Renoir, Ballo al Moulin de la Galette (Wikipedia)

Renoir questo lo dipinge in maniera spettacolare, e se prestiamo attenzione, in mezzo a quella confusione di vesti e macchie di sole vediamo tanti micro temi che potremmo tranquillamente estrapolare dalla vita di ognuno di noi. In mezzo alla folla c’è un ragazzo che tenta di baciare la sua compagna di ballo, il gruppo di amici in primo piano invece ha appena approcciato due ragazze e ora stanno conversando allegramente. Chissà come sono andate a finire le loro storie.

Medardo Rosso, Impressione d’omnibus (Boijmans Tour)

Certo, anche prima della modernità c’erano dei luoghi deputati agli incontri e alle conoscenze, ma tutto si svolgeva sotto regole ben precise di gusto ed educazione e persino durante i viaggi in carrozza con degli sconosciuti era buona educazione presentarsi e intrattenere delle conversazioni. Nulla a che vedere con i viaggi in treno a stretto contatto con persone mai viste prima e con cui nessuno, o ben pochi, si sognerebbero di presentarsi e iniziare a parlare. “Impressione d’omnibus“, una scultura di Medardo Rosso, rende alla perfezione questo sentimento di separazione tra i singoli individui, così vicini tra loro eppure divisi dal muro del socialmente accettabile.

Potremo dire di essere schiavi di queste convenzioni, delle abitudini e della paura del giudizio degli altri. Abbiamo forse perso quella capacità di conversazione che potevano avere i nostri antenati pre-moderni, ma in fondo, non erano anche i loro gesti governati da regole sociali?

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