Siamo gli unici animali capaci di parlare di cose che esistono solo nelle nostre fantasie: come le divinità, le nazioni, le leggi, il denaro. Ma proprio queste finzioni sembrano essere le cose che possiamo meglio conoscere, perché “questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini”.
Se lo abbiamo creato, possiamo conoscerlo
Oggi più che mai la scienza appare infallibile. Il sentiero da seguire per raggiungere la conoscenza della verità. Non stiamo forse peccando di superbia? Secondo il filosofo napoletano Giambattista Vico (1668-1744) peccavamo di una tale presunzione già nel suo XVIII secolo. Dio non è un geometra, né la realtà ha una struttura matematica e se pretendiamo di avanzare un metodo artificiale e fallibile per indagare e scoprire la natura siamo fuori strada. “Norma del vero è l’averlo fatto” scrive Vico nel suo capolavoro, la “Scienza Nuova“. Quindi è possibile avere scienza solo di ciò che si è in grado di fare o ri-fare, solo l’artefice conosce con certezza il proprio artefatto e noi non siamo artefici del cosmo. Ma siamo artefici del mondo civile, il mondo della storia fatto di istituzioni, commerci, costumi, miti, linguaggi, religioni, arti. Verum et factum convertuntur: ciò che è certo per Vico è solo ciò che è stato concretizzato dagli uomini. Ma è davvero così? Il prodotto artificiale delle fantasie umane rappresenta la realtà più concreta che c’è?
Viviamo in una complicata ma ingegnosa finzione
Lo storico contemporaneo israeliano Yuval Noah Harari non la pensa allo stesso modo e nel suo best seller “Sapiens. Da animali a dèi.” ci illustra la sua teoria, brillante, illuminante, inquietante.
Un tempo eravamo animali insignificanti. A livello individuale, tutt’ora, la differenza fra noi e un branco di scimpanzé è minima. Ma a livello collettivo siamo superiori, poiché l’uomo è l’unico animale capace di collaborare in grandi masse in modo flessibile, tutto tramite la sola forza dell’immaginazione. Siamo gli unici in grado di creare finzioni, per poi convincere chi ci sta intorno a crederci. E se tutti crediamo alle stesse finzioni tutti obbediamo alle stesse regole. Usiamo perciò il linguaggio in maniera differente, per trasmettere informazioni su cose che non esistono affatto, che non abbiamo mai visto, toccato o odorato come gli dèi o gli Stati, i diritti umani o le multinazionali. Grazie a queste finzioni abbiamo superato anche il problema quantitativo: le scimmie hanno bisogno di conoscersi intimamente per cooperare, noi possiamo tranquillamente recarci in un supermercato, scambiare un inutile pezzo di carta con del cibo commestibile ignorando completamente chi sia il commesso, il direttore del negozio e tutti gli uomini che hanno cooperato per ottenere quel cibo.
La leggenda della Peugeot
Questo è un esempio emblematico che ci fa entrare nella logica di Harari.
La Peugeot è una delle più antiche fabbriche automobilistiche d’Europa. Si stima che nel 2008 abbia prodotto un milione e mezzo di auto con introiti di circa 55 miliardi di euro. Mentre ne parliamo, siamo certi che la Peugeot esista. Ma, anche se distruggessimo ogni macchinario per la produzione e ogni veicolo targato Peugeot, uccidessimo ogni singolo impiegato, vendessimo tutte le azioni, la società esisterebbe ancora. Com’è possibile? Peugeot non ha alcuna connessione con il mondo fisico, naturale. Non è un oggetto, non possiamo esperirlo con i sensi. Ma esiste, poiché nella nostra immaginazione collettiva, è una finzione giuridica. Per la precisione è una società a responsabilità limitata, che in America viene chiamata corporation, nonostante il corpo sia ciò che le manca.
Quando la realtà dipende dalla volontà della fantasia
L’esempio della Peugeot vale per molti altri elementi che consideriamo naturali. Sono nostre invenzioni, databili storicamente, le divinità, le leggi, le nazioni, il denaro. Chi oggi oserebbe mettere in discussione il giusnaturalismo? Uguaglianza, libertà, sono per noi diritti innati e inalienabili. Ma, dice Harari, “se aprite un essere umano per guardarci dentro, troverete il cuore, i reni, i neuroni, ormoni e DNA, ma non troverete alcun diritto”. Certo, ce li siamo inventati noi. E le divinità? Le prime forma di religione erano forme di animismo, gli uomini avevano semplicemente paura della natura, poi si sono inventati che Dio aveva bisogno del loro aiuto nelle crociate. Le nazioni? La terra era di tutti fino all’invenzione della proprietà privata, dopo di che abbiamo stabilito confini e innalzato bandiere: il nazionalismo e il patriottismo hanno fatto e fanno carneficina. Ma non tutti credono alle divinità, ai diritti, alle nazioni. E’ il denaro il vero vincitore, perché è l’unica finzione cui tutti credono fermamente.
Il fatto più incredibile è che col il passare del tempo tutti questi costrutti sociali, queste realtà immaginate, sono diventati così potenti da controllare la realtà oggettiva. Il destino del nostro pianeta e le condizioni di vita dell’umanità dipendono ora dal volere dei fantasmi che abbiamo creato. Ciò che abbiamo immaginato ora controlla ciò che è (o era) reale. Ma proprio perché è una nostra creazione, paradossalmente, tutto questo è ciò che c’è di più vero.
Cristiano Bacchi