Per un attimo è ora di abbandonare il nascondiglio dello scrittore dietro le parole del testo, che ne velano la presenza per dare risalto alle idee, e prendere parte personalmente- attraverso un io presente- alle vicende che si costruiscono entro l’ambiente scolastico del nostro paese.
Si potrebbe definire un esperimento quello portato avanti in una classe di terza media dell’alta brianza, che si è trovata a posticipare 5 lezioni di italiano e storia per fare spazio a 9 ore totali di laboratorio di filosofia e cercare di movimentare l’andamento delle proprie menti per poggiare gli occhi su questioni forse inaccessibili autonomamente a certe età.
Un esperimento riuscito oserei definirlo, in qualità di insegnante del laboratorio, viste le reazioni dei ragazzi attestate anche grazie ad un questionario finale, e visto l’andamento delle lezioni. I temi affrontati sono stati molteplici e in maniera molto, forse anche troppo, generale, onde evitare la presenza di nomi invadenti di filosofi o pensieri specifici un po’ troppo complicati, per dare così spazio all’allargarsi della mente dei singoli ragazzi e alla valorizzazione delle proprie idee.
Ecco così che nella prima lezione Dio è sembrato molto più vicino di quanto non sia, vedendo come si possa effettivamente cercare di dimostrarne l’esistenza a partire dal nostro pensiero o dalle evidenze empiriche esterne, grazie all’aiuto della prova di Anselmo (vero trip forse capito da una piccola parte della classe grazie a esempi) e alle cinque vie di Tommaso, la cui fattualità esterna ne ha forse facilitata la comprensione.
Nella seconda lezione si è poi passati al tema del bene, di come esso non sia un concetto scontato e di come esso possa essere visto come oggettivo oppure soggettivo, cercando di dare valore alle discussioni degli stessi ragazzi, subito entrati nello spirito del filosofo che si sente in dovere di mettere in questione le idee contrarie alle proprie senza batter ciglio. Le discussioni sono state vivaci e sorprendentemente attive, stimolanti per tutti. A questo tema poi si è collegato quello successivo, della terza lezione, della libertà, per il quale si è discusso intorno all’argomento della scelta e intorno anche a diversi dilemmi morali, molto apprezzati nel giovane gruppo filosofante.
Ultimo tema affrontato ma non per importanza è stato quello della conoscenza, nella direzione dei sensi e del loro carattere illusorio davanti a una realtà che noi diamo per scontata ma che forse così scontata non è.
Cronache di uno studente che diventa insegnante
Ognuno di noi conosce l’ambiente scolastico, ci è cresciuto e lo ha vissuto, nelle sue gioie e nei suoi dolori. In questo senso a chiunque è capitato di vedere la scuola come un luogo grigio, quasi con carattere di prigione, di vedere il rapporto con un professore come freddo o una materia come insopportabilmente pesante. La scuola, potremmo dire, per la maggior parte degli studenti può apparire di certo non come un ambiente divertente in sé, se non per i compagni presenti, o in cui si va con gran piacere dell’ascoltare qualcuno parlare per ore. Nulla da obiettare a ciò, non tutti apprezzano già in giovane età la conoscenza e la cultura, non tutti apprezzano ascoltare delle lezioni per poi studiarle a casa.
Ma la causa di questa noia sta solo forse negli studenti?
La risposta è banale: ovviamente no, non tutti i professori sono interessanti o comunque capaci di rendere interessante la propria materia, in quanto quello dell’insegnante è un lavoro estremamente complicato, senza esagerazioni.
Passare da una parte all’altra della cattedra è stato un trasferimento magico. Quelle mura di cartongesso dalle quali un tempo desideravo fuggire il più in fretta possibile e all’interno delle quali il tempo sembrava non scorrere mai, d’un tratto sono diventate un mondo estremamente variopinto e interessante, in cui il tempo era diventata una semplice formalità che ci costringe entro determinati limiti.
Il mondo che l’insegnante si trova davanti ai propri occhi è un mondo opposto a quello della noiosissima lezione su Schopenhauer del mezzogiorno. È un mondo composto da un gruppo di coscienze che di per sé sono singolarmente inquantificabili e inclassificabili, un ambiente dove ognuna di queste coscienze non rappresenta un vaso vuoto da riempire ma piuttosto un fiore da curare il cui odore ti colpisce sempre di più, ogni volta che una sua nuova inflessione si mostra all’olfatto attento.
Solo davanti a questa realtà si comprende quanto sia difficile e importante il mestiere del professore e quanto centrale sia in tutto ciò il rapporto con lo studente, nucleo fondamentale di ogni attività di insegnamento, che in questo senso non può essere preso in maniera monodirezionale nel mero svolgimento delle spiegazioni e delle valutazioni.
Una concezione fondamentale che viene a modificarsi poi è quella del tempo, quasi vi fosse un diverso fluire di questo da un lato all’altro della cattedra. Tutte le percezioni e le attività che dal lato dell’insegnante colpiscono e attivano la nostra mente aprono a un mondo ricco di idee e possibilità, che quindi può difficilmente diventare noioso, ma che risulta piuttosto ricco di stimoli, portando la durata di una lezione ad essere quasi irrisoria in confronto alle eterne ore di spiegazione di fisica in cui l’unica cosa comprensibile era la propria voglia di tornare a casa.
L’essenzialità della relazione
In questo senso il lavoro dell’insegnante rappresenta una professione estremamente complicata, in quanto appunto tutto ruota attorno alle relazioni da stabilire con il mondo singolare che ci si ritrova davanti.
Un semplice esempio, dall’altro lato della cattedra l’autorevolezza nel gruppo non è una cosa che si ottiene solo con personalità e carattere, ma innanzitutto con il rispetto del soggetto, e soprattutto con un affetto che anche se non esplicito si viene a creare rispetto a colui che tende le orecchie verso la tua voce.
In una giungla del genere, il lavoro da svolgere per cercare di trasferire anche solo una conoscenza utile allo studente diventa qualcosa di estremamente professionalizzante, qualcosa da non prendere sotto gamba, perché davanti si ha la responsabilità di 25 coscienze la cui guida è lì davanti a loro a gesticolare e spiegare. Un simile impegno non può essere preso sotto gamba per propria essenza, non può essere appiattito ad un compito pratico da elaborare nelle ore di lavoro, motivo per cui essere bravi a spiegare o conoscere a fondo la propria materia è necessario sì ma non sufficiente
In questo senso il rapporto da stabilire con le giovani menti davanti a sé non può essere in nessun modo monodirezionale, dall’alto al basso banalmente o comunque come un semplice rapporto di spiegazione-comprensione-valutazione, ma deve comporsi secondo una struttura a 360 gradi, poliedrica sotto tutti i punti di vista. Per rendere il tutto attraverso un’analogia spaziale, psicologicamente l’insegnante si trova in mezzo alla classe e non davanti ad essa, impegnato nel raffronto con una persona tanto complessa quanto se stesso.
Rifiutare e negare un simile impegno, svolgendo con la classe una relazione solamente mono o bidirezionale, significa passare in maniera superficiale questa professione, renderla inefficace e aproblematica, come se imparare fosse scontato, come se gli studenti non fossero coscienze ma unità, e in questo senso rendere la scuola una prigione per chi vi si stabilisce.
Una professione, non un ripiego
Dove sta il senso di questo discorso?
Ad oggi in Italia, purtroppo, l’insegnamento viene fin troppo spesso considerato un ripiego da chi non riesce a trovare occupazione nel campo oggetto dei propri studi, o comunque un mestiere sottovalutato nella sua importanza a livello sociale e professionale. L’idea fondamentale è che chiunque è libero di svolgere la propria vita secondo necessità e passione. Se la necessità economica richiede un’occupazione, nessuno può votarsi al giudizio morale del dire cosa si può o cosa non si può fare. In questo senso, banalmente, chiunque anche privo di passione può decidere di intraprendere la carriera da insegnante in caso di necessità. Vista tuttavia la difficoltà di una simile professione, non si può non associare ad essa l’importanza del crescere le nuove generazioni, già evidenziata in un mio articolo di qualche tempo fa.
Non si parla di costrizioni, né di giudizi, ma di consigli e di idee. Tutti noi forse dovremmo impegnarci per rendere il nostro mondo, e quello degli altri e dei nostri figli, un mondo migliore, per far sì che le cose funzionino al meglio e quindi agire con correttezza nei confronti dei nostri impegni, soprattutto quando tali impegni portano con sé grandi responsabilità.
Un giornalista può comunque impegnarsi in una simile occupazione per necessità economica, ma ciò non predispone che sia una buona scelta impegnarsi al minimo nel proprio lavoro, così come dal medico non ci aspetta superficialità nel proprio lavoro.
Perché allora affrontare il lavoro da insegnante con superficialità? Perché ridursi solamente al semplice svolgimento del lavoro pratico di spiegazione e valutazione? Perché dimenticarsi del rapporto affettivo con chi ci sta davanti? La professione insegnante non richiede che la relazione con lo studente sia superflua o marginale, ma piuttosto questa professione ruota fondamentalmente attorno al rapporto con lo studente, rapporto che non può essere evitato se si vuole che il sistema scolastico faccia un salto di qualità.
Nel momento in cui vi sia un miglioramento nel sistema scolastico, la situazione sociale in generale ovviamente ne verrebbe fuori trasformata in tutti i suoi aspetti, e affinché ciò accada, cambiare lo status dell’insegnante sarebbe una soluzione efficace.
Tutti noi pensiamo di poter insegnare qualcosa, di poter trasmettere le nostre conoscenze quasi in maniera immediata, quasi fosse una semplice questione di organizzazione e presentazione delle idee, quando invece insegnare è qualcosa che va del tutto oltre le semplici capacità di spiegazione, quasi ci stessimo tutti dimenticando del vero significato della parola educazione e del senso dell’educare una persona.
Giovanni Ciceri