Così il Brasile si brucia le possibilità

L’incendio che ha distrutto il Museu Nacional di Rio apre dibattiti che vanno ben oltre la sicurezza di uno stabile o la mera perdita materiale. Questo è per il Brasile un momento di confronto con la realtà che lo circonda e con i gravi problemi che lo affliggono, in primis quelli riguardanti la Foresta Amazzonica. Domenica, 19:30 circa: scoppiano le fiamme all’interno del Museo Nazionale del Brasile. Un rogo che i pompieri hanno impiegato ore a domare e che ha bruciato moltissimi reperti archeologici. Ossa di dinosauri, artefatti greco-romani, tesori portoghesi, il meteorite più grande della nazione, il cranio di Luzia, l’antenata più antica ritrovata su suolo brasiliano. Infine, tutti i reperti dell’era precolombiana, che costituivano gli unici legami dei nativi nei confronti di una storia cancellata dall’arrivo degli europei. Se prima gli Indigeni potevano disporre del proprio territorio, con l’arrivo di Colombo vi è un cambiamento radicale e si aprono discussioni in tutto il continente europeo su cosa significhi possedere una terra, governare un territorio, regnare oltremare. Grandi dibattiti che mettono in luce la scarsa capacità di andare oltre il mero guadagno e rendono la vita degli indigeni (e non solo) un inferno. Privati della terra e della libertà saranno decimati da malattie e fatiche in pochi anni.

Gli indigeni nel Brasile attuale

Premessa: la grande Foresta Amazzonica esiste davvero, è ancora il grande polmone verde del pianeta, vanta una varietà biologica immensa e ospita ancora popolazioni mai entrate in contatto con il “mondo esterno”. O almeno, ci provano con tutte le loro forze. Il movimento indigeno è sempre più ascoltato nella fascia medio-alta della società brasiliana e internazionale ma non si arriva a delle leggi che possano effettivamente risolvere definitivamente la situazione. E così nella vita di tutti i giorni gli Indios vengono privati della loro terra metro dopo metro insieme alla foresta che sparisce foglia a foglia, albero dopo albero. Questo perché il governo brasiliano non investe nel turismo culturale ma nello sfruttamento spietato del suolo e nell’allevamento che toglie terreno al nostro polmone verde. Un chiaro segnale della difficoltà del paese a rinnovarsi durante la crisi economica che stanno passando.

La situazione ai confini dell’Amazzonia

E laddove poche leggi sono state fatte, la corruzione e la violenza impediscono che giustizia sia fatta.  La situazione è drammatica. Nei paesi di confine alla grande foresta, la legge non esiste e i racconti che ci arrivano ricordano quelli del selvaggio Far West: esecuzioni pubbliche in piazza, assassinii all’ordine del giorno, usurpatori di terre che con la forza le rubano, omicidi dei politici locali scomodi e schiavitù. La situazione non cambia ed è iniziata negli anni ’70 quando il governo pubblicizzava “una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Uno slogan che attirò da tutto il Brasile poveri che iniziarono a sfruttare il prima il confine tra le praterie e la foresta, poi abbattendola. Col passare del tempo tuttavia la situazione è peggiorata e si è creato un circolo vizioso di sfruttamento del polmone verde. I grileiros occupano ettari di foresta e aprono dei corridoi nella vegetazione. Poi, questa viene venduta a grandi proprietari o politici di altre nazioni che finanziano le guardie illegali armate per controllare i confini. Durante la stagione delle piogge inizia il disboscamento, con quella secca gli incendi per la creazione di pascoli. Machete e trattori finiscono il lavoro. Ciò si ripete da anni e si stima che la foresta pluviale amazzonica perde tra i 15.000 e i 27.000 kmq all’anno.

Giada Annicchiarico