Coprirsi il capo con il velo: tre cose che non sapevi sulle usanze degli antichi

Rispetto, credenze religiose ed emozioni. Scopriamo cosa spingeva le donne e gli uomini a coprirsi in pubblico.

Augusto alle Scuderie del Quirinale - ArtsLife
Statua togata di Augusto capite velato come Pontefice Massimo conservata al Museo Nazionale Romano.

Sia nella Grecia che nella Roma antica, le donne erano solite coprirsi con il velo. I capelli erano la parte più sensuale del corpo e, specie per i greci, questo significava che solo al marito spettava il privilegio di vederli. I romani ritenevano inoltre che le ciocche femminili fossero intrise di proprietà magiche, e quindi che fosse più saggio coprirli. Non solo: portare il velo era anche simbolo di fedeltà. Famosa è la testimonianza di età ciceroniana in cui un senatore divorziò dalla moglie accusandola di essere infedele proprio perché soleva uscire a capo scoperto. Tuttavia, il velo ricopriva molti ruoli e significati a seconda dei diversi ambiti. Scopriamo i principali.

1. Il velo come veto alla parola delle donne

Le donne, in particolare quelle greche, non godevano degli stessi diritti degli uomini. Il loro compito era badare alla casa, da cui potevano allontanarsi raramente, e al marito, cui erano sottomesse. In pubblico non potevano rivolgere la parola ai membri che non fossero della famiglia: è qui che entra in gioco il velo. Non aveva infatti solamente la funzione di coprire la bellezza della sposa, accessibile solo dal coniuge. Questo fungeva anche da silenziatore, un muro che non poteva essere valicato se non in determinate situazioni.

Prendiamo il caso dell’Odissea: a un certo punto Penelope, stanca delle razzie dei Proci, i quali si sono stabiliti nella dimora di Odisseo e sperperano le sue ricchezze, esce dalle sue stanze personali dove stava filando con le serve. Percorre i corridoi del palazzo, varca il salone e si toglie il velo. Il muro è rotto: può parlare senza più barriere, rimproverando gli ospiti della loro condotta.

Nonostante il coraggio della madre e la difesa dei loro diritti, a Telemaco non piace il modo in cui Penelope si è rivolta ai Proci. Ha infranto le regole sociali, mancando di rispetto a degli uomini, superiori a lei. Così avanza sino a porsi al suo cospetto, sgridandola per la condotta e imponendole di chiedere scusa ai loro ospiti. Poi le intima di tornare nuovamente a filare nelle sue stanze, il luogo in cui dovrebbe essere.

La tela di Penelope, moglie di Ulisse - Studia Rapido
Pittura vascolare su “skyphos” (bicchiere a due manici), Attica a figure rosse (440 a.C. circa). Penelope è rappresentata al telaio verticale in compagnia del figlio Telemaco. Chiusi, Siena – Museo Archeologico Nazionale.

2. Il velo nei riti religiosi

Anche gli uomini, come si è già detto, indossavano il velo. Le testimonianze questa volta arrivano prevalentemente dal mondo Romano, dove sono molte le statue celebri degli imperatori in vesti sacerdotali che si occupano di celebrazioni rituali. Anche in questo caso il velo aveva una funzione importante e molto simile a quanto trattato nel precedente paragrafo. Fungeva infatti sempre da barriera con il mondo esterno, ma questa volta da intendersi in senso molto più lato.

Indossare il velo era un modo per creare un contatto personale e speciale tra il pontefice massimo e Giove in persona, escludendo il mondo terreno e mortale. Niente doveva essere lasciato al caso. Per questo motivo, come possiamo osservare nel bassorilievo di Marco Aurelio, accanto a chi celebrava il rituale non può che esserci un suggeritore. Ogni parola doveva essere pronunciata correttamente, pena il mancato funzionamento del rito o, peggio, l’ira degli dei. Accanto, poi, doveva comparire anche un musico con il compito di calmare il toro sacrificale. Solo se l’animale fosse morto placido, e non impaurito, gli auspici sarebbero stati positivi.

Per rimanere in tema sacrale, lo stesso principio valeva anche nella celebrazione dei matrimoni. Gli sposi dovevano essere avvolti entrambi in un velo color zafferano, a protezione delle influenze maligne e per concentrare l’intera cerimonia esclusivamente su di loro.

Sacerdote romano di giove immagini e fotografie stock ad alta risoluzione - Alamy
Marco Aurelio col capo velato sacrifica un toro a Giove. Musei Capitolini, Roma.

3. Il velo e il lutto

Se, come abbiamo visto, il velo è sinonimo di muro e silenzio, è interessante notare come questo viene utilizzato nelle manifestazioni del dolore. Sia nelle testimonianze iconografiche sia in quelle letterarie, assistiamo a due tipi di comportamenti diversi a seconda che il lutto lo stia provando una donna o un uomo.

La donna, sempre silenziosa e remissiva, durante il lutto può dare sfogo a tutta la sua emotività. Il velo viene tolto – celebre ad esempio la scena di Andromaca che si sveste e urla dopo aver assistito alla morte di Ettore, i capelli strappati e i pianti talmente strazianti da sembrare dei canti. Si richiedeva questo tipo di comportamento proprio da un punto di vista sociale, tale era radicato all’interno della società.

Di contro, l’uomo che reagiva in un simile modo sarebbe stato ritenuto estremamente poco virile. Non era consono per un padre di famiglia mostrare apertamente in pubblico la propria tristezza: si sarebbe presentato come debole. Così, ad esempio, Ulisse dopo aver sentito il proprio racconto cantato da un aedo alla corte dei Feaci, si sente profondamente triste. Per questo motivo nasconde il capo entro al mantello, tirandoselo sin sopra la testa, in un’ennesima creazione di una barriera con il resto dei presenti. Così anche Achille, dopo aver pianto Patroclo in maniera estremamente femminile – strappandosi i capelli, cospargendosi di cenere e piangendo, forse proprio in nome dell’amore che lo legava al compagno, si ritira nella sua tenda coprendosi il capo con il velo.

Achille velato, in lutto per la morte di Patroclo, e Odisseo dipinti su una coppa. 470 a.C., British Museum.

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