Cambiamento per diventare grandi: vediamo le cinque riforme più importanti della storia di Roma

L’Impero Romano è probabilmente l’entità imperiale più nota e studiata della storia. Per raggiungere le sue immense dimensioni ha però dovuto costantemente aggiornarsi e cambiare volto.

Nel corso della sua millenaria storia, Roma ha visto il proprio assetto istituzionale e militare cambiare più volte. Oggi vedremo le cinque riforme più importanti della storia dell’Urbe.

Le leggi Licinie Sestie

La prima riforma di cui tratteremo è in realtà una delle ultime di un lungo processo di cambiamento delle istituzioni romane. Fin dal 494, anno della prima secessione della plebe, i plebei romani, ossia coloro i quali non erano patrizi, la classe dominante di Roma arcaica, avevano lottato per ottenere più diritti, specialmente in ambito politico. Fino ad allora, infatti, l’accesso alle magistrature era riservato ai patrizi e i plebei, per quanto ricchi e potenti, non potevano partecipare attivamente alla direzione dello Stato. La secessione della plebe ebbe come primo risultato la nascita dei tribuni della plebe; questa era una magistratura con l’incarico di difendere i diritti della plebe contro i soprusi dei patrizi. Le tappe successive delle lotte plebee saranno la messa per iscritto del sistema normativo vigente con le Leggi delle XII tavole; la possibilità di accesso alla questura; l’abrogazione del divieto di matrimonio tra patrizi e plebei. Si giunge così al 367, quando vennero approvate le leggi Licinie Seste, che, oltre a risolvere il problema dei debiti delle fasce più povere, permetteva idealmente anche ai plebei di accedere al consolato, la massima magistratura repubblicana.

L’organizzazione in province

Dopo la vittoria della Prima Guerra Punica, Roma si confrontava con uno spazio politico e territoriale molto più vasto di prima. Fino ad allora, per mantenere il controllo sui territori sottomessi, lo Stato romano si era limitato alla fondazione di colonie con le quali poter, con i propri delegati, controllare il territorio. Dopo l’annessione della Sicilia, si rese necessario un diverso sistema di organizzazione: quello provinciale. Inizialmente Roma fece molto affidamento su pratiche di governo già collaudate, assegnando la provincia a un magistrato o a un promagistrato, o ancora dividendo la regione in distretti con obblighi fiscali verso Roma. Questo sistema, ancora non standardizzato e omogeneo, non venne esteso subito a tutti i territori conquistati, ma queste sono le basi per il grande sistema provinciale di età imperiale.

La riforma di Gaio Mario

Nel 111 a.C Roma entra in guerra contro Giugurta, re della Numidia. Durante questo conflitto emerge una figura fondamentale per la storia del I secolo, Gaio Mario. Egli, generale di origine plebea, è anche il padre di una riforma fondamentale dell’esercito. Fino ad allora potevano arruolarsi nell’esercito romano solo cittadini che avevano un determinato censo, il che escludeva i proletari, ossia i nullatenenti. Mario rivoluziona il criterio d’accesso all’esercito, permettendo anche a questi ultimi di farne parte. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che avrà pesanti conseguenze sulla storia repubblicana. Da questo momento, infatti, si arruolarono anche persone poverissime, il cui obiettivo era ottenere, giunti al congedo, le ricompense dai propri comandanti. Questo generò una forte personalizzazione delle cariche militari e saldò il legame tra il comandante e i soldati, dando il via all’età delle guerre civili. Proprio per la fedeltà tra truppa e generale i vari Mario, Silla, Cesare e Pompeo poterono permettersi di lottare gli uni contro gli altri, certi che i soldati li avrebbero seguiti. Tutto questo, però, fu possibile solo grazie a questa riforma che fece della vita militare una professione.

Le riforme di Augusto

Augusto è forse la personalità più importante di tutta la storia romana. Dopo aver sconfitto i cesaricidi e poi Marco Antonio ad Azio, si presentò a Roma come nuovo e unico leader dello Stato. A lui si deve l’organizzazione in impero, l’espansione verso il centro Europa e la riforma di quasi tutto l’apparato statale. Dal momento che il potere di fatto apparteneva solo a lui, in quanto princeps, tutte le altre cariche, a partire dal consolato, persero valore e divennero per lo più onorifiche. Con Augusto infatti cominciano ad avere maggior risalto le carriere equestri, ossia di quegli uomini appartenenti all’ordine dei cavalieri, la seconda classe più influente a Roma, dopo quella senatoria. Nascono delle vere e proprie carriere parallele a quelle tradizionalmente note, che culminano nell’ufficio delle prefetture, la più importante delle quali era quella dell’Egitto. La riforma di Augusto è forse la più grande e certo la più nota e con maggiori risvolti. Si pensi solo che, al termine di essa, Augusto si trovava ad avere i poteri dei tribuni della plebe, dei consoli e del pontefice massimo. Senza mai chiamarsi re, Gaio Ottavio lo era di fatto diventato.

La riforma di Diocleziano

Nel 285 Diocle, comandante delle guardie dell’imperatore Numeriano, a seguito della di lui morte, viene acclamato imperatore dall’esercito col nome di Diocleziano. Sale al trono imperiale in un periodo particolarmente difficile per Roma, che aveva visto susseguirsi numerosi imperatori effimeri, e Diocleziano stesso non parve da meno. In realtà e contro ogni aspettativa regnò a lungo, fino al 305, quando abdicò. Quando prese il potere, nel 284, gettò le basi per quella che fu nota come tetrarchia, ossia un diverso sistema di governo dell’impero. In sostanza, l’imperatore affiancava a sè un collaboratore col titolo di Augusto (nel caso di Diocleziano Massimiano) che avrebe dovuto aiutarlo nel controllo dell’impero, dividendolo in due parti. A loro volta i due augusti nominavano due cesari, che facevano loro da vice. Ognuno di questi quattro uomini aveva delle precise aree di intervento e così si divideva l’impero in base alle loro aree di competenza. Questa divisione, di fatto, gettava le basi per la vera e propria divisione dell’impero nel 395 d.C.

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