Blade Runner, Pirandello e Camilleri: quando la creatura si ribella al proprio Creatore

L’espediente narrativo che vede la consapevolezza da parte della “creatura” di esser tale è stato sfruttato più volte in letteratura.

Pirandello e Camilleri: ecco quando personaggi letterari si ribellano al proprio autore, così come i “replicanti” al proprio Creatore.

La consapevolezza di non essere umani

Fra i film fantascientifici più premiati e apprezzati dalla critica cinematografica c’è senza dubbio Blade Runner, uscito nel 1982 e diretto da Ridley Scott. Il merito va dato in particolare all’insolita vicenda che vede come protagonista il cacciatore di taglie Rick Deckard, oltre che alla splendida regia e alla cura con cui è stata realizzata la distopica ambientazione post-apocalittica di un mondo oramai sovrappopolato e invivibile. Tralasciando l’oramai conosciuta trama, oggetto di particolare interesse al fine di questo articolo sono i “replicanti”, androidi sintetici creati dall’uomo per svolgere i lavori più faticosi nelle colonie extramondo. Si tratta di creature a tutti gli effetti simili all’uomo, e anzi quasi indistinguibili,  progettate in modo da non avere  consapevolezza della propria natura. Simili all’uomo a tal punto da possedere ricordi di una vita mai vissuta e la capacità di sviluppare emozioni di ogni genere. Proprio queste caratteristiche hanno permesso ad alcuni dei replicanti più evoluti di rendersi conto progressivamente della loro artificialità, di essere solo delle creature con una vita limitata. In modo simile è accaduto qualcosa del genere anche in letteratura.

Dio creatore e “ombre vane”

C’è infatti un diretto parallelismo con svariati casi in cui i personaggi, proprio come alcuni dei “replicanti”, diventano consapevoli di un fatto esistenziale di enorme importanza: si rendono conto di essere stati creati, di non esser persone reali. È questo il caso di alcuni racconti di Pirandello, come Personaggi, in cui l’autore riceve all’interno del suo studio per l’appunto alcuni personaggi di sue future novelle, i quali gli chiedono di poter assumere vita propria e di poter svolgere un ruolo al posto di un altro. Così Pirandello si rivolge a loro:

Voi avete la fortuna, signori miei, d’esser ombre vane. Perché volete assumer vita anche voi, a mie spese? E che vita poi? Da poveri inquilini d’un mondo più vano; mondaccio di carta, nel quale, vi assicuro, non c’è proprio sugo da abitare.

Al di là dunque della presa di consapevolezza da parte dei personaggi che si rendono conto di non essere reali, c’è un altro aspetto interessante. Queste parole ricordano incredibilmente il dialogo tra Roy Batty, il replicante, il quale pretende  che la sua vita di appena quattro anni venga allungata, e il dottor Eldon Tyrell, suo “Dio creatore”, che rifiuta ogni possibilità di accontentare le sue richieste. Interessante anche un altro aspetto, sebbene non sia connesso a ciò di cui stiamo trattando: questo “E che vita poi?” ricorda le parole di Gaff, il collega di Deckard, al quale pronuncia queste parole: “Peccato però che lei non vivrà [riferito a Rachael]! Sempre che questo sia vivere…”.

Il rifiuto di Montalbano

Chiudiamo infine con un altro esempio che possa valere per tutti gli altri, un esempio in cui Creatore e creatura si “scontrano”. Quest’ultima, infatti, seguendo sempre il solito schema, pretende qualcosa dall’autore. Si parla di un altro celebre scrittore: Camilleri. In un suo racconto, intitolato Montalbano si rifiuta, una sera il protagonista nel tornare a casa vede il rapimento di una ragazza da parte di due uomini. Salito nella sua vettura, decide di seguirli. Arriva così presso la loro abitazione, ma dall’esterno tutto appare tranquillo. Scopre in realtà che i due rapinatori hanno ucciso la ragazza e la stanno cucinando per mangiarla. A questo punto la narrazione “si interrompe”: Montalbano riesce a contattare l’autore, Camilleri, tramite una cabina telefonica. Gli dice di non esser disposto a far parte di storie così assurde, surreali e cruente, rifiutandosi di portare avanti la narrazione. Camilleri gli risponde che ha dovuto farlo per attenersi alle critiche sulla oramai monotonia dei suoi romanzi e ironicamente gli chiede se, dopotutto, abbia “mai provato un piatto d’occhi umani fritti, macari con un soffritto di cipolla”.

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