Banksy, enigmatico emblema della street art, sbarca nel capoluogo francese con una serie di opere volte a denunciare la politica della nazione contro i migranti. I graffiti si trovano sui muri in Porte de la Chapelle, avenue de Flandre nel quinto, nel diciottesimo e nel diciannovesimo arrondissement. L’artista non è estraneo al contesto oltralpe: pochi anni fa aveva fatto un’incursione a Calais, sempre in difesa dei migranti.
Banksy è un famoso artista inglese ed è uno dei maggiori esponenti della street art. Le sue opere sono spesso polemiche e satiriche e trattano argomenti come l’etica, la politica e la cultura. La sua grande abilità consiste nel creare un filo conduttore che unisce le diverse zone della città che prende di mira, creando un percorso di riflessione sul manto urbano. Il suo marchio distintivo è l’anonimato: in anni di lavori nessuno ha mai visto il suo viso, nè l’ha mai visto all’opera; sono state fatte diverse supposizioni circa la sua identità ma nessuno è mai riuscito ad inquadrarlo realmente. L’eroe mascherato denuncia l’immoralità del nostro mondo attraverso la composizione di opere che di fatto sono illegali, ma al genio si perdona questo ed altro. Uno dei suoi principali mezzi di comunicazione è Instagram: attraverso post semplici ed enigmatici conduce i fans verso i suoi ultimi lavori. Questo veicolo di trasmissione è inoltre un modo per individuare quali opere sono realmente da attribuire al grande Banksy e quali sono invece fake.

Nell’arco dell’ultima settimana sono apparsi sui muri parigini diversi graffiti in esplicita polemica contro l’atteggiamento francese (e non solo) nella questione migranti. L’obiettivo dell’artista è quello di denunciare la disumanità e l’indifferenza ormai dilaganti nel continente, il messaggio delle sue opere è molto duro: a Porte de la Chapelle, è raffigurata una bambina che usa una bomboletta di vernice rosa per ricoprire una svastica gigantesca. Il muro scelto da Banksy si trova a pochi metri dal Cpa (Centro di prima accoglienza) dei migranti, che è stato chiuso tra mille polemiche lo scorso 31 marzo. A pochi passi dalla Sorbonne, invece, c’è un uomo con una sega nascosta dietro la schiena che offre un osso a un cane al quale è stata appena tagliata una zampa, evidente immagine del sistema capitalistico.

Fonte: tgcom24
In avenue de Flandres, l’artista ha rivisitato l’opera “Napoleone che attraversa le Alpi” di Jacques–Louis David datata 1801, trasformando l’imperatore francese avvolto nel mantello in una donna velata di cui cela totalmente il volto. Hegel ne “La fenomenologia dello Spirito” annuncia di aver visto lo spirito del mondo a cavallo, il fiero condottiero francese è oggetto concreto dello scorrere del mondo, del suo schema ordinato, della sua grandezza. Oggi su quel cavallo bianco vediamo il velo dell’indifferenza, un telo di sangue che copre gli occhi di tutti coloro che, di fronte ad un altro essere umano, si girano altrove. Non siamo uomini solo in quanto animali sociali (Aristotele): siamo uomini in quanto desideranti secondo Platone, siamo uomini in quanto esseri razionali come per Cartesio, ma soprattutto siamo uomini in quanto portatori di humanitas, di compassione e Banksy vuole ricordarcelo.

Fonte: greenMe
A livello umano, emotivo e razionale è impossibile chiudere gli occhi di fronte a tutto ciò che succede intorno a noi. La solidarietà, secondo Schopenhauer, è una delle tre vie per combattere la mordace Volontà di vivere che divora, schiavizza,uccide tutti noi e non a caso una delle altre strade è l’elevazione estetica grazie all’opera d’arte: un capolavoro permette di andare oltre il Velo di Maya, che nasconde la realtà, ci consente di guardare la Volontà in faccia, di vedere l’orrore per quello che è, ed è proprio questo ciò che Banksy ha voluto fare.
La provocazione dell’artista porta alla messa in discussione delle convinzioni e della cecità di massa europea: come ci si può guardare allo specchio avendo un velo che copre il volto? Il velo di Maya e il manto rosso sui muri parigini devono sparire, solo in quel modo la verità verrà nuovamente a galla, solo in quel modo, forse, si potrà tornare ad un’umanità che merita di essere chiamata tale, l’Aletheia heiddegeriana si disvelerà. Riusciremo a recuperare la nostra dimensione più vera? Ai posteri l’ardua sentenza.