“Asteroid city”: Wes Anderson incontra Giorgio Strehler in una nuova forma di meta-teatralità

Uscito nelle sale da poco, “Asteroid city” ha raggiunto già un buon successo. Con una storia ben definita e un umorismo fuori dal comune, riesce a catturare bene il pubblico trasferendo il teatro sul grande schermo.

Il 28 settembre 2023 è uscita nelle sale la nuova pellicola di Wes Anderson. Con il suo solito stile fiabesco, ma verosimile, per quanto improbabile, ci immerge in una doppia storia, dove finzione e realtà si mescolano.

Asteroid city

Il film si sviluppa in 3 atti, ognuno preceduto da apposito frame. Racconta la storia di un padre e dei quattro figli che raggiungono Asteroid city, piccola cittadina nel deserto, dove si terrà una convention per giovani scienziati. Uno dei quattro figli è infatti un giovane scienziato. I personaggi sono molto caratterizzati, ognuno con un tratto distintivo. Perdono la caratterizzazione a 360 gradi, per una resa più teatrale del personaggio.

In effetti è di questo che si tratta. L’intera trama principale è una pièce teatrale, resa cinematografica, ma che in realtà è da immaginarsi eseguita sul palco. A fare da cornice intervengono brevi spezzoni in bianco e nero nei quali il narratore (Bryan Cranston) racconta le vicende che hanno portato l’autore dell’opera teatrale (Edward Norton) a eseguire determinate scelte nel corso della stesura.

Se da un lato la storia principale è resa in tal modo proprio perché rispecchia una messa in scena, anche la vita dell’autore e dei vari attori che prendono parte alla sceneggiatura viene raccontata con una nota di tragicomicità. Il racconto in bianco e nero vuole forse portare i personaggi “veri” allo stesso livello di quelli finti, creati apposta per la sceneggiatura.

Giorgio Strehler e il teatro Piccolo

Giorgio Strehler, insieme a Paolo Grassi, fonda nel 1947 il Piccolo teatro a Milano. Si tratta di una data di svolta nella scena del teatro in Italia. I principi fondamentali dell’idea di teatro si registra in una lettera aperta pubblicata sulla rivista “Politecnico” di Vittorini. I firmatari erano in realtà 4. Oltre ai già citati Strehler e Grassi, firmarono anche Mario Apollonio e Virginio Tosi. L’idea era quella ossimorica di un teatro d’arte per tutti. Ossimorica perché il teatro d’arte era di nicchia, fatta da chi se ne intendeva per un pubblico di intellettuali. Inoltre era per loro di estrema importanza che il teatro svolgesse una funziona civica, di pubblico servizio. Per questo sottolineano l’importanza di un teatro finanziato da denaro pubblico, in modo da poter offrire un teatro moderno con valore anche formativo. Da qui nasce il primo teatro italiano stabile a finanziamento pubblico.

Si metteranno in scena già nella stagione 1947-1948 11 spettacoli, di cui 6 firmati direttamente da Strehler, mentre i restanti 5 firmati da registi esterni. In questo modo si delinea un programma stagionale degli spettacoli, alcuni dei quali ricorrenti.
Tra quelli ricorrenti, il più celebre, importante e conosciuto è sicuramente “Arlecchino servo di due padroni” di Carlo Goldoni, che verrà messo in scena svariate volte anche con modifiche importanti. È grazie a questo spettacolo che Strehler riesce a sviluppare il suo concetto di teatro, ispirato anche dalle concezioni di Brecht.

“Arlecchino servo di due padroni” e la meta-teatralità

Con questo spettacolo Strehler può giocare con diversi fattori, il primo dei quali è l’improvvisazione, specialmente del personaggio di Arlecchino. L’attore doveva, in una scena in particolare (scena della lettera), gestire il palco in base alla reazione del pubblico. Il personaggio interagisce direttamente con il pubblico, rompendo la quarta parete. Più il pubblico dimostrava coinvolgimento e più la scena poteva durare.

Un altro fattore determinante di questo spettacolo è la disposizione tra scena e fuori scena. Lo spettacolo vero e proprio avveniva su una pedana rialzata, dove gli attori in scena potevano esibirsi. La pedana occupava però solo la parte centrale del palcoscenico, lasciando liberi le due parti laterali e anche il fondo. Gli attori non recitanti venivano collocati in questi spazi, rimanendo di fatto sempre in scena. Questo è un chiaro richiamo della concezione di Brecht del teatro epico, in cui sono compresenti l’idea di teatro e lo svelamento del teatro, quindi finzione e svelamento della finzione. Il pubblico poteva apprezzare lo spettacolo in corso, ma anche cogliere gli attori nella loro quotidianità di attore, assistendo ai cambi costume e alle parti più tecniche della finzione.

Al centro la scena vera e propria, ai lati gli attori non in scena.

Meta-teatralità su grande schermo

Wes Anderson, con “Asteroid city”, porta questa meta-teatralità ad un livello ulteriore. Porta su grande schermo quella che è la finzione teatrale, lasciando i personaggi al loro modello teatrale, quindi caratterizzati da pochi dettagli, ma molto insistenti. Inoltre rende molto bene tutte le parti di quotidianità, sia degli attori, ma anche dei tecnici, del regista nonché sceneggiatore. C’è spazio per la scena, dove si svolge l’azione e dove il pubblico si concentra maggiormente per seguire la trama, ma anche il contesto (o la cornice) è di notevole importanza per apprezzare l’opera nella sua totalità.

Se a teatro c’è spazio solo dietro allo sipario, con il cinema si riesce ad andare anche oltre. Quindi c’è la possibilità di seguire gli attori fino a dietro le quinte e addirittura fuori dal teatro. C’è possibilità di cogliere quelle intuizioni che hanno portato gli attori e il regista ad eseguire certe scene in un determinato modo. Fattore molto importante è anche la comprensione che gli attori stessi hanno o non hanno dell’opera che stanno offrendo al pubblico, in modo che il pubblico possa effettivamente entrare in contatto con l’attore.
Ma il gioco più grande dell’opera di Anderson è che anche gli attori sono attori. Ovvero, coloro che nella pellicola sono attori e mettono in scena la finzione, sono a loro stessi degli attori. Scarlett Johansson in particolare è un’attrice, che interpreta un’attrice che interpreta un personaggio, che a sua volta è un’attrice. In questo senso la meta-teatralità con questa pellicola raggiunge un picco straordinario.

 

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