“Anastasia” è uno dei film più famosi e apprezzati della nostra infanzia, grazie alla sua storia avvincente e romantica. Il sogno di molti, quello di scoprirsi in realtà ricco discendente di una famiglia reale. Ma il film racconta la verità?

Era il 1997 quando uscì al cinema per la prima volta il film “Anastasia” distribuito dall’allora indipendente 20th Century Fox. Lo stile e l’animazione semplice e sciolta conquistarono la critica, che lo paragonò addirittura ai grandi classici Disney del tempo. La sceneggiatura, però, nonostante la trama storica particolarmente emozionante, si prende molte libertà narrative. Attualmente “Anastasia” è parte del megaverso della Disney, dopo che nel 2020 la casa di produzione di Mickey Mouse ha acquistato la 20th Century Fox.
LA TRAMA
È il 1916, e lo zar Nicola II ha appena organizzato un ballo per festeggiare l’anniversario dell’ascesa al potere dei Romanov. Durante i festeggiamenti l’imperatrice madre Maria Fëdorovna regala alla nipotina Anastasia un carillon contenente un ciondolo su cui è incisa la scritta “Insieme a Parigi”. La festa è però interrotta dall’arrivo di Rasputin, un ex monaco fresco fresco di patto col diavolo. Rifiutato dai reali, egli maledice tutta la famiglia in pieno stile Malefica, promettendo loro la morte e facendo scoppiare la Rivoluzione Russa. Il giovane sguattero Dimitri riesce a salvare Maria e ad Anastasia, impegnandosi a farle fuggire dalle grinfie di Rasputin, il quale precipita nel fiume ghiacciato durante l’inseguimento. Ma, mentre Maria riesce a salire su un treno, Anastasia cade dalla carrozza perdendo la memoria. La storia passa al 1926, e qui troviamo Anya, di poco uscita dall’orfanotrofio, intenta a raggiungere Parigi a causa del suo desiderio di scoprire come mai il suo ciondolo glielo stia suggerendo da dieci anni. Nel tentativo di trovare un biglietto per raggiungere la capitale francese la ragazza si ritrova nell’ormai ex dimora dei genitori e lì, dopo aver cantato insieme con le vetrate del palazzo, incontra Dimitri e Vladimir. I due truffatori notano la sua somiglianza con Anastasia, e quindi hanno la brillante idea di portarla a Parigi dall’imperatrice Maria e spacciarla per la granduchessa. Nel frattempo si scopre che Rasputin non è per nulla morto, e, appreso che Anastasia è ancora viva, torna a finire il lavoro. Tenta di uccidere Anya, ma ovviamente non ci riesce, così la ragazza giunge a Parigi. Qui Dimitri si rende conto di non aver preso la versione cosplay, ma proprio l’originale, così, mosso dai suoi sentimenti per Anya, decide di fare di tutto per far conoscere nonna e nipote. Ma c’è ancora Rasputin da uccidere, e lui e Anastasia si incontrano sul ponte Alessandro III sulla Senna. Dopo uno scontro in cui è il cane di Anastasia a salvare la situazione, rubando il reliquiario che rende il monaco così forte, permettendo alla ragazza di distruggerlo, e condannare Rasputin all’inferno. La storia si conclude con Maria intenta a leggere una lettera di Anastasia, la quale le spiega che preferisce fuggire con Dimitri che fare la principessa, e la saluta promettendole che tornerà a trovarla. Forse.

I ROMANOV
La storia della famiglia Romanov è decisamente più tragica e triste di quella descritta nel film. Dopo l’abdicazione dello zar Nicola II nel 1917, scoppiò anche la Rivoluzione Russa, ed egli venne confinato a Casa Ipat’ev. Lì si trovava insieme alla sua famiglia, la zarina Aleksandra, le granduchesse Marija, Olga, Tatiana, Anastasia e l’unico erede maschio Aleksej. A loro confiscarono tutti i loro possedimenti e i rivoluzionari imposero rigidissime regole, tra cui per esempio quella di non parlare altra lingua oltre il russo. Erano dei veri e proprio prigionieri, isolati, ignorati – seppur con fatica – dalla servitù, e poco importavano le precarie condizioni del piccolo Aleksej, malato da tempo. La loro condizione durò fino al 16 luglio 1918, quando si decise che i simboli dell’autocrazia dovevano essere sterminati. Quella stessa notte, con la scusa delle lotte tra armata rossa e bianca, i bolscevichi condussero la famiglia nel seminterrato. Ignari della loro sorte si sistemarono lì con quattro servitori, finché un uomo, Jakov Michajlovič Jurovskij, non entrò con gli altri esecutori. Lesse all’ormai ex zar la sua condanna a morte e iniziarono gli spari, secondo le fonti per lo più rivolti a Nicola. Aleksandra ricevette un colpo alla testa per sbaglio, e le figlie morirono per i colpi di rimbalzo che erano riusciti a sfondare i numerosi gioielli dei loro vestiti. Alla fine, dopo moltissimi colpi, tutti i membri della famiglia, compresi i servitori, erano morti. Le salme vennero caricate su un camion, e si iniziò a cercare un posto dove seppellirli. I corpi di Maria e Aleksej furono gettati nella foresta per alleggerire il carico, gli altri furono sciolti nell’acido, bruciati e seppelliti poco lontano. La brutale è agghiacciante morte dei Romanov fu ignorata, negata e messa a tacere dai bolscevichi per anni, e nel 1938 Stalin fece distruggere Casa Ipat’ev perché di “nessun valore storico”. Solo nel 1991, quando furono trovati i nove corpi bruciati a Ekaterinburg, la tragica fine della famiglia reale tornò a interessare l’opinione pubblica, che finalmente conobbe la verità.
LE INCRONGRENZE DEL FILM: RASPUTIN
Gli errori partono dalla prima scena. Secondo la pellicola la Rivoluzione Russa iniziò nel 1916, ma è noto a tutti che invece essa ebbe inizio nel 1917. Oltre a questi piccoli dettagli, uno dei più gravi sbagli riguarda Rasputin, a cui il film attribuisce tutta la colpa. Egli, pur essendo un ciarlatano che aveva abbindolato la zarina Aleksandra con i suoi metodi da santone, non ebbe nulla a che vedere con la morte dei Romanov. Grigori Rasputin era un mistico siberiano, chiamato dalla zarina a curare il figlio minore Aleksej, emofiliaco. Rasputin esercitava grandissima pressione sullo zar, il quale ignorava volutamente le dicerie sul suo comportamento licenzioso dell’uomo, in favore della moglie, che invece pendeva dalle sue labbra e ascoltava tutto quello che diceva. Si dice che Anastasia fosse molto affezionata a lui, e che gli scrivesse molte lettere, e anche Rasputin sembrava molto legato a tutte le figlie di Aleksandra. Le voci su di lui però divennero talmente insistenti che Nicola dovette per forza allontanarlo dalla camera delle bambine, dopo che molte cameriere avevano espresso timore sul modo in cui guardava le fanciulle. Quando Nicola si assentò nel 1916 per la Prima Grande Guerra egli si scatenò, accentrando tutto il potere su di sé, portando un gruppo di conservatori a decidere di eliminarlo, invitandolo per il tè casa del principe Yusupov. Venne avvelenato ripetutamente, ma sopravvisse, quindi gli spararono, ma sopravvisse, allora gli sparano di nuovo, ma sopravvisse ancora. Alla fine, stanchi, lo affogarono nel fiume ghiacciato e lì morì.

LE INCRONGRENZE DEL FILM: ANASTASIJA NIKOLAEVNA ROMANOVA
Oltre a Rasputin la stessa storia di Anastasia descritta nel film è completamente inventata. Innanzitutto la ragazza nel film ha almeno vent’anni, quando, al momento della morte, ne aveva a malapena diciotto. Inoltre Anya dice di essere a San Pietroburgo, nome che si legge anche su un cartello stradale, ma a quel tempo la città si chiamava Leningrado. È vero però che per molto tempo non ci fu la certezza che la piccola fosse morta, ed è vero che molte tentarono di truffare le persone impersonandosi la rediviva granduchessa. Il caso più eclatante fu quello di Anna Anderson che, tra il 1920 e il 1984 cercò di convincere tutti di essere Anastasia. La donna si è sempre identificata come la quarto genita di Nicola II, forte del fatto che a quel tempo i bolscevichi avevano fatto sapere che solo lo zar fosse morto. Le analisi del DNA effettuate sui corpi trovati a Ekaterinburg confermavano che all’appello mancavano effettivamente le salme di due persone, sicuramente Aleksej e una donna che poteva essere Maria o Anastasia. Nonostante questo, fu escluso subito che Anna fosse Anastasia. Dopo la sua morte le analisi sul suo DNA confermarono che in nessun modo la donna potesse essere una Romanov, ma piuttosto Franziska Schanzkowski, una donna polacca fuggita da un manicomio nel 1919. La seconda ed essersi fatta notare è stata Eugenia Smith, autrice di una (auto)biografia in cui si definisce Anastasia. La rivista Life pubblicò un articolo nel 1963 in cui la comparava alla granduchessa. La sua identità venne discussa per anni, complice anche il fatto che la donna rifiutasse il test del DNA, ma non convinse mai nessuno, specialmente visto che dai riscontri antropologici sul suo volto non ci fu mai una corrispondenza con quello di Anastasia.