Negli ultimi giorni è diventata virale la vicenda statunitense legata alla programmazione di un raid civile sull’Area 51, campo militare off-limits in Nevada.

L’evento, forse organizzato inizialmente come scherzo, si è trasformato ben presto in un raduno (futuro) di persone provenienti da tutto il mondo intente ad entrare, o perlomeno, a cercare di sfondare le barriere militari che proteggono l’Area 51 per scoprire una volta per tutte cosa si cela dietro quell’angolo segreto di mondo.
Cos’è l’Area 51?
L’Area 51 deve probabilmente il suo nome ad un piano di divisione territoriale emanato dall’Atomic Energy Commission, anche se ancora non è del tutto chiara la scelta di tale numerazione. Nel secondo dopoguerra è stata utilizzata come area per i test di differenti velivoli all’avanguardia statunitensi. Ad esempio il progetto U-2 (1955) ha permesso la creazione di Lockheed U-2, aereo ricognitore utilizzato nelle guerre in Afghanistan ed Iraq e soprannominato Dragon Lady. Progetti simili, quali OXCART (1959) e F-117 (1977), hanno permesso la messa a punto di mezzi di volo alquanto fantascientifici, come il Lockheed Have Blue, concepito sulla base del prototipo F-117 Nighthawk.
Il governo statunitense ha sempre rilasciato pochissime informazioni in merito ai test svolti in quest’area e l’ingresso è vietato ai civili, così come il traffico areo militare ordinario è proibito.
Il perimetro della base è segnato da cartelli di colore arancione ed è pattugliato da guardie in tuta mimetica a bordo di pick-up bianchi. Molti strumenti tecnologici sono utilizzati per controllare i confini, tra cui telecamere a circuito chiuso e sensori di movimento, piazzati a debita distanza in maniera tale da avvisare le guardie dell’avvicinamento di estranei.

They can’t stop all of us! Alieni, incursioni e Area 51
L’Area 51 è divenuta in breve tempo la punta di diamante di ufologi e “esperti” di fantascienza che associano la segretezza della base militare ad un tentativo governativo di nascondere rapporti più o meno diretti con forme di vita extraterrestre. Tra le attività che tali persone ritengono siano svolte nella base ricordiamo la ricostruzione delle navi spaziali, la dissezione anatomica dei corpi senza vita degli alieni precipitati (si ricordi l’incidente di Roswell del 1947), ma anche la costruzioni di armi di massa e l’elaborazione di software per il controllo climatico (e.g. le scie chimiche e progetti fantasiosi come HAARP).
L’idea di pianificare un vero e proprio assalto alla base militare viene dalla mente di Jackson Barnes, australiano che ha creato un evento ormai virale su Facebook, iniziato ovviamente con intenti goliardici. Tuttavia, a dispetto delle aspettative, sempre più utenti hanno mostrato interesse verso questa incursione e ad oggi il numero di partecipanti supera un milione, con circa 800.000 interessati. Da subito Barnes ha dichiarato di non fare sul serio, fortunatamente, rilasciando diversi messaggi diretti al governo statunitense.

Il 12 luglio 2019 la portavoce Laura McAndrews dell’U.S. Air Force ha rammentato a coloro che hanno deciso di aderire alla folle iniziativa che entrare, seppur in maniera pacifica, in un’area militare è un reato federale:
“Area 51 is an open training range for the U.S. Air Force, and we would discourage anyone from trying to come into the area where we train American armed forces. […] The U.S. always stands ready to protect America and its assets.”
Laura McAndrews, U.S. Air Force, 12/07/2019
Fermi e Drake. Incontreremo mai un alieno?
Lungi dal pensare che l’Area 51 occulti tali segreti agli occhi dell’intera popolazione mondiale, resta da chiederci se effettivamente è possibile incontrare qualche forma di vita capace di intendere nell’universo che ci circonda.
Sicuramente conoscere la risposta sarebbe davvero interessante ed entrare in contatto con altre specie viventi non deve necessariamente sfociare in un rapporto di subalternità, schiavitù e massacri su larga scala come il cinema hollywoodiano da sempre ci ha forzatamente abituato ad immaginare.
I primi tentativi di razionalizzare l’irrazionale provengono da eminenti personaggi scientifici quali Enrico Fermi (fortunatamente noto per altri contributi ben più ammirevoli, altri ancora meno) e Frank Drake. Al primo si deve la formulazione del noto paradosso di Fermi (“Se l’Universo e la nostra galassia pullulano di civiltà sviluppate, dove sono tutte quante?“) mentre al secondo è attribuita l’equazione di Drake, formula pseudo-matematica con pochissime variabili stimate esclusivamente sulla base della nostra civiltà, l’unica di cui abbiamo traccia.

Non mi reputo assolutamente un esperto in materia ma la risposta al paradosso di Fermi mi sembra perfettamente associabile alla rarità dell’evoluzione della vita terrestre.
Esistono tante di quelle variabili, dalla biosfera fino all’ultima valvola venosa nel braccio, che reputarci soli nell’universo è già di per sé un grande successo! Emulare delle condizioni di vita come quelle terrestri richiederebbe calcoli probabilistici che supererebbero di gran lunga solo cinque o sei fattori fantascientifici dell’equazione di Drake.
Riflettere sul fatto di essere soli nell’universo ci potrebbe spingere a migliorare, a ritenere che siamo gli unici in uno spazio e tempo infinito ad aver ricevuto il dono della vita. Occupare un posto privilegiato nell’universo dovrebbe indurci a condurre un’esistenza onesta e volta al comune benessere, un po’ come la social catena leopardiana scevra però di quel pessimismo capace di paralizzare azioni e pensieri. Pertanto, continuiamo a guardare le stelle, come suggeriva Hawking, ma ricordiamo di restare sempre con i piedi per terra.
Roberto Parisi