Si è letteralmente chiuso un capitolo in questi giorni in Olanda, la quale di fronte allo stupore dei cittadini – e soprattutto dei turisti – si è improvvisamente ritrovata con dieci lettere in meno, quelle che da più di un decennio componevano la maxi-scritta “I Amsterdam” nel cuore della piazza Museumplein.

C’è chi per quei famosi “quindici minuti di celebrità” citati da Andy Warhol farebbe qualsiasi cosa, ma cosa accadrebbe se questi si trasformassero in quindici anni? È stato proprio questo il caso della mastodontica scritta simbolo della città di Amsterdam che – con i suoi tre metri per 26 di larghezza e cinque mila chili di peso – si è rivelata per la città una “pesante” arma a doppio taglio.
Sebbene alcuni la ritengano una decisione meramente politica, stando a quanto comunicato ufficialmente, la famosa installazione negli ultimi tempi avrebbe infatti attirato “una folla troppo grande in uno spazio già limitato”, obbligando le autorità cittadine a discutere circa le precauzioni e le norme di sicurezza da adottare: una missione certamente non facile, tendendo conto dell’esorbitante numero di turisti che quotidianamente si arrampicavano sulle sue lettere bianche e rosse pur di scattare una perfetta foto ricordo.
Amsterdam tra individualismo e marketing
La decisione di rimuovere forse il più cosmopolita tra i simboli della metropoli olandese sarebbe arrivata a seguito di una petizione lanciata dal consigliere comunale Femke Roosma, rappresentante del partito di sinistra GroenLinks. Secondo quanto affermato da Roosma, oltre a causare un significativo sovraffollamento, l’installazione a caratteri cubitali stava altresì veicolando un messaggio erroneo circa i valori promossi dalla cittadinanza. “Il messaggio di ‘I Amsterdam’ è che siamo tutti individui appartenenti alla città. Ma noi vogliamo mostrare qualcosa di differente: diversità, tolleranza, solidarietà” avrebbe infatti chiosato il consigliere comunale in una dichiarazione riportata da The Telegraph, sottolineando come “questo slogan riduca la città sullo sfondo di una mera questione di marketing”.

Un puzzle di lettere sparse per la città
Per i più affezionati che già stanno rimpiangendo di non essere andati prima ad Amsterdam per scattarsi un selfie di fronte alla scritta, sappiate però che non è tutto perduto: sebbene scompariranno dalla grande piazza in cui erano collocate, le lettere continueranno infatti ad essere esposte per tutta la città, mentre in occasione del periodo natalizio l’intramontabile “I Amsterdam” verrà temporaneamente posizionata in diversi punti della città durante festival o eventi speciali.
La psicologia delle masse: quando un singolo caso diventa tendenza
Posizioni politiche e posizioni di lettere a parte, resta però il fatto che in pochissimo tempo quella che era inizialmente nata come un’originale una campagna di marketing firmata dall’agenzia di comunicazioni KesselsKramer, si è ben presto trasformata in un’attrazione planetaria, creando un successo che paradossalmente ne ha anche causato la rovina. Ma – prima che la gente iniziasse a dare per scontata la possibilità di sdraiarsi sulla testa della lettera “T”, o ancora quella di scattare istantanee con le gambe a penzoloni a cavallo della “S” – chi fu a prendere impulsivamente l’iniziativa e ad arrampicarsi per primo sulla scritta olandese?
Purtroppo, non sappiamo darvi la risposta, ma possiamo spiegarvi il meccanismo psicologico che ha spinto la seconda persona, e poi la terza e poi la millesima a compiere il medesimo gesto: la psicologia di massa.
Secondo questa branca psicologica, nel momento in cui l’individuo si trova insieme ad altri “perde le caratteristiche di controllo su sé stesso, la razionalità e l’autonomia che normalmente lo definiscono”, limitandosi ad imitare il comportamento di chi gli sta accanto senza riflettere su ciò che fa, soprattutto se a capitanare questi atti (spesso goliardici) c’è un leader carismatico che prende l’iniziativa.
Secondo il sociologo francese Gustave LeBon, all’interno di una condizione di massa “le acquisizioni individuali del singolo scompaiono e con esse il suo modo di essere specifico”, tanto che l’eterogeneità dell’individuo si accomoda all’omogeneità della folla, la quale si sente animata da un sentimento di forza invincibile e dalla sensazione che il proprio modus operandi coincida con la regola. In sostanza, la stessa visione di tutti coloro che da quel primo episodio in poi hanno inaugurato la “scalata della scritta”, dando il via ad un vero e proprio rituale d’obbligo per la maggior parte dei turisti.
Non sempre però la psicologia di massa conduce a risultati fantasiosi e capaci di strappare un sorriso: a volte, al contrario, si dimostra infatti capace di mettere i brividi. A dare una vera conferma di quanto la “mente collettiva” possa azzerare totalmente quella individuale è infatti il caso di cronaca risalente al 18 novembre 1978, ribattezzato in tutto il mondo come “il più grande suicidio di massa della storia”.

Furono, infatti, 912 i seguaci della congregazione religiosa del “Tempio del Popolo” che quel giorno si suicidarono in massa a Jonestown, nella giungla della Guyana, bevendo un cocktail al cianuro sotto gli ordini della loro guida spirituale, il reverendo Jim Jones. Quest’ultimo – all’epoca stimato da colleghi e personaggi importanti – convinse migliaia di persone a trasferirsi nella giungla, in quella che lui definiva una “nuova terra promessa”, per iniziare una vita spogliata dal peccato moderno. Quando però, dopo poco tempo, i familiari dei seguaci della setta cominciarono a rivolgersi alla polizia e diverse indagini giudiziarie intaccarono l’apparente tranquillità della setta religiosa, il reverendo Jones – convinto che la Chiesa, il governo e la CIA tramassero per distruggerlo – ordinò ai fedeli di compiere “il supremo sacrificio per difendersi dall’imminente invasione delle forze del Male”. Fu così che centinaia di persone fecero la fila davanti a un enorme bidone pieno di cianuro, per poi auto-avvelenarsi sotto lo sguardo compiaciuto del proprio leader, che alla fine si tolse la vita con un colpo di pistola alla tempia.
Francesca Amato