A quattro anni dal bataclan: il terrorismo di Parigi in “Pastorale americana” di Philip Roth

I casi diversi ma così simili dell’attentato nell’opera dello scrittore americano e di quelli di Parigi ci spiegano molte cose sul terrorismo dei giorni nostri

fiori davanti al teatro Bataclan, a Parigi, dove persero la vita 90 persone

Parigi, Boulevard Voltaire, 13 novembre 2015. Tra le 21:00 e le 22:00 una serie di attacchi terroristici colpiscono alcuni luoghi affollati da persone tra cui il teatro Bataclan, dove andava in scena un concerto del gruppo americano Eagles of Death Metal. Sarebbe presto diventata una delle stragi più cruente della Francia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e ancora oggi lascia un vivo ricordo nella mente dell’Europa. Philip Roth ci può aiutare a capire il perché.

locandina del film “Pastorale americana” tratto dall’omonimo libro di Philip Roth

Sono in mezzo a noi

Nella serie di attentati che colpirono la Francia in quella notte circa dieci terroristi, divisi in tre squadre, si suddivisero gli obiettivi da colpire. Probabilmente l’unico sopravvissuto di quei dieci, Salah Abdeslam, era il coordinatore di questa cellula jihadista che aveva importanti referenti in Belgio e attualmente il francese di origini marocchine è ancora sotto processo. In quest’ultima frase c’è un termine in particolare che potrebbe saltare all’occhio: Abdeslam, infatti, è proprio francese, come 99 delle 130 vittime totali della notte tra il 13 e il 14 novembre di quattro anni fa. Anche gli altri attentatori, come lui, possedevano tutti la cittadinanza di paesi europei, chi del Belgio e chi della Francia. I tre responsabili della strage al teatro Bataclan, nello specifico, erano tutti e tre di nazionalità transalpina, per giunta nati in Francia, salvo poi essersi rifugiati in Siria nel punto più alto dell’ascesa dello Stato Islamico (ISIS) che rivendicò in seguito gli attacchi. Di conseguenza la radicalizzazione, anche se completata al di fuori del suolo europeo, ha avuto inizio qui, a due passi dalle case di coloro che negli attentati sono morti coi quali i jihadisti fino a pochi anni prima condividevano bandiera, inno nazionale, governo. Coloro che volevano combattere la civiltà occidentale adesso non erano lontani ma tremendamente vicini e in grado di colpire laddove non ci si sarebbe mai aspettati. Il nemico era all’interno e non all’esterno dei confini. La civiltà europea ha iniziato a traballare perché combattere una minaccia su due fronti era molto complicato, ma la cosa davvero peggiore era che, nonostante questi attentatori fossero stati integrati, tuttavia avevano ugualmente deciso di attuare una tale strage. Attenzione: non erano stati semplicemente accolti, ma erano del tutto integrati, nati e cresciuti in Francia e in Belgio. L’accogliente Europa multiculturale veniva colpita alle radici, laddove non si aspettava di essere attaccata. Perché una persona dovrebbe arrivare a colpire in questo modo chi lo ha accolto nella sua comunità e nel suo sistema culturale? La forza del messaggio jihadista ha avuto il sopravvento e l’ideale ha portato ad odiare una realtà che ha dovuto per forza di cose interrogarsi su se stessa. Forse noi europei non li abbiamo integrati abbastanza ma li abbiamo fatti sentire ai margini anche se residenti nei nostri stati? Forse invece questo è il segno che aprirsi ad altre culture ci può portare dei pericoli? I numerosi casi di individui (anche non di origine musulmana) che abbandonano le loro case e le loro famiglie in Europa per diventare dei Foreign Fighters lasciano irrisolti molti di questi interrogativi e aprono alla paura dello straniero, perché questa volta la guerra non è più, nell’immaginario occidentale, lontana ma è nelle nostre case. Gli ideali di accoglienza e di apertura culturale dell’Europa e l’immagine che essa ha di sé hanno avuto più di un motivo per vacillare.

militanti dello Stato Islamico, il quale ha rivendicato gli attacchi terroristici di Parigi

Contraddizioni dello stereotipo americano

Ma cosa c’entrano Philip Roth e il suo romanzo premio Pulitzer del 1998 in tutto questo? Pastorale americana è ambientato negli Stati Uniti degli anni sessanta e settanta ed è incentrato sulla figura di Seymour Levov, corrispondente in ogni ambito al modello di perfetto cittadino statunitense: ricco, con un lavoro importante come industriale, con una bellissima moglie (Dawn Dwyer, ex Miss New Jersey) eccellente nello sport e con una buona famiglia. Persona corretta moralmente, a modo ed educata, è stato soprannominato da giovane Lo Svedese per il suo fisico prestante, gli occhi azzurri e i capelli biondi. Combacia in tutto allo stereotipo che gli americani avevano di sé, un’ immagine di individui dinamici e moralmente retti, eccellenti in ogni ambito, persino sportivo. Questa immagine era trasferita in modo interscambiabile dall’individuo alla società, anch’essa considerata dinamica, attiva e produttiva, ma soprattutto felice: la felicità era il normale approdo di chi si comportava da americano vero. La realtà però raccontava un’altra storia: imperversava la guerra del Vietnam, iniziavano le rivolte giovanili e incombeva lo spettro dello scandalo Watergate (1972). Gli americani vivevano nella contraddizione di credersi la società più felice e più perfetta ma allo stesso tempo di crollare dall’interno per via appunto delle guerre, dei moti interni e di una multiculturalità che ha causato divergenze rispetto al modello sociale ideato da parte dei Wasp (White Anglo Saxon Puritans). I conflitti sociali di questi anni andavano da tutt’altra parte rispetto alla felicità e alla moralità di cui si vantavano utopisticamente quelli come Levov. La parte rivoltosa e ribelle al rispettabile status quo della società americana è rappresentato da Merry, la figlia sedicenne di Levov, che cresce in contrasto totale con i genitori e il loro tipo di educazione fino ad affiliarsi a un gruppo di militanti di estrema sinistra chiamato Weathermen. Il crollo della Pastorale americana ( cioè il sistema di educazione, di mentalità e di cultura) avviene definitivamente quando la ragazza prende attivamente parte ad un attentato dinamitardo ad un ufficio postale per poi far perdere le sue tracce. La causa che ha portato a questo attentato, dunque, è proprio dentro la società americana, quel sistema di regole scritte e non scritte che ha cercato di imporre un modo di vivere e un modo di pensare a tutti gli strati sociali. La rivolta che scoppia ha origine nel non volersi conformare ai dettami di una società che pensa di essere nel giusto e che ha i suoi modelli di riferimento, non rispettando i quali si viene emarginati. Merry è soffocata dallo stile di vita a cui la chiamano i suoi genitori nel nome della vera felicità del Sogno americano, perciò il suo spirito ribelle trova rifugio in un ideale diverso, come quello dei Weathermen, che sono costretti dal mondo in cui vivono ad essere combattivi perché considerati diversi, pericolosi fuoriusciti dalle norme giuste della rispettabilità. Emarginazione e anticonformismo sono all’origine di questo attentato che assurge a paradigma delle contraddizioni di un sistema che si fonda su quel castello di carte che è l’immagine che gli americani hanno di sé. La bomba è il simbolo concreto dell’implosione di una società che piano piano si è accorta di vivere in una contraddizione e che Philip Roth descrive in modo sensazionale.

Lo scrittore americano Philip Roth (1933-2018)

Il terrorismo “civile”

L’attentato descritto da Philip Roth e quelli di Parigi hanno dunque la comune caratteristica di avere avuto origine “dall’interno” dello stato vittima: chi ha usato la violenza è nato e cresciuto dentro l’ambiente che ha deciso di colpire, vivendolo fino a tal punto da ripugnarlo. Merry ha agito con la consapevolezza di allontanarsi definitivamente dalla vita della brava americana a cui era stata avviata dai genitori, un modello che non le confaceva e fin troppo lontano dalla realtà che si respirava nell’instabilità degli Stati Uniti degli anni sessanta. I terroristi di Parigi vivevano immersi in quella civiltà occidentale che forse li ha soffocati, che forse li ha emarginati, ma che in ogni caso hanno imparato a disprezzare tanto da volerla ferire nel profondo. Forse non sono riusciti a sentirsi davvero francesi o non hanno voluto accettare compromessi e la missione della Jihad ha dato loro una speranza di riscatto, perlomeno a livello religioso. Risposte definitive purtroppo non ce ne sono, anche perché tutti gli attentatori di Francia sono morti. C’è un altro particolare che avvicina i due casi di attentati. A Parigi sono stati colpiti più obiettivi: ristoranti e bar, un teatro, i cancelli all’esterno dello stadio di Saint-Denis. Merry piazza invece una bomba presso un ufficio postale, causando la morte di una persona. Si tratta dunque di attacchi diretti contro civili, non contro edifici o autorità istituzionali, ma contro persone normali uscite di casa una sera per andare al ristorante o a sentire un concerto. Una semplice ragione è quella che ogni obiettivo considerato  sensibile è più controllato e tenuto sotto sorveglianza, perché di norma è lì che ci si aspetta un attacco. Ma quando vengono colpiti i civili la sensazione è che si possa essere la prossima vittima da un momento all’altro, la minaccia è sentita vicina, vicinissima. Quando vengono colpiti i civili circola una sola cosa nella mente delle persone: la paura. Questo è quello che vuole maggiormente chi compie un attacco terroristico contro i civili e questo era ciò a cui aspirava Merry con i suoi compagni: far sentire la propria presenza forte e pericolosa a chi credeva di essere al sicuro nelle sue regole stereotipate.

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