590 anni fa moriva la “pucelle d’Orléans”: ecco cosa accadde quel giorno

Sono passati 590 anni dalla morte della “pucelle d’Orléans” e dalla sua triste storia.

La passione di Giovanna d'Arco | Breve Storia del Cinema | Flickr

Il 30 maggio 1431 muore sul rogo come eretica Giovanna D’Arco, diventando in seguito la santa padrona della Francia. In questo articolo parleremo della sua vita e dei motivi per cui gli uomini del suo tempo l’hanno condannata a morte.

Giovanna D’Arco

Jeanne D’Arc, eroina nazionale francese, visse tra il 1412 e il 1431 ed è conosciuta anche come “la pucelle d’Orléans“, ovvero “la fanciulla di Orléans“. Nacque in Borgogna all’interno di una famiglia contadini e, a tredici anni, la sua vita cambiò. A quell’età infatti iniziò a sentire delle voci celestiali, accompagnate molte volte da visioni. In quel momento, come confesserà nel processo per eresia del 1431 a Rouen, si consacrò a Dio, facendo voto di castità. Il 1428 fu però un anno fondamentale per la famiglia della ragazza. I territori francesi erano sconvolti dalla Guerra dei Cent’anni, perciò furono costretti a fuggire dalla loro casa, incontrando la violenza della battaglia e cercando di sottrarsi alle truppe borgognoni guidate da Antoine de Vergy. Inoltre nello stesso periodo gli inglesi iniziarono ad assediare Orléans, la quale continuò però a resistere. Questa città era strategicamente una conquista importante per la sua posizione geografica. Nel 1429 la minaccia inglese fu più elevata ed in tale situazione le voci nella testa di Giovanna si fecero più acute, sollecitando il suo intervento in aiuto del Delfino di Francia.

Notando qualche cambiamento nella figlia, i genitori della ragazza cercarono di combinarle un matrimonio con un giovane di Toul, ma lei rifiutò la proposta e il suo fidanzato la portò davanti al tribunale episcopale, il quale alla fine diede ragione alla giovane in quanto il fidanzamento era stato accettato da lei. Ottenuta questa piccola vittoria, tornò a dedicarsi alla sua missione. Giunse a Vaucouleurs dove incontrò nel 1428 Robert de Baudricourt, il capitano della piazzaforte. Naturalmente questo si prese gioco di lei, rimandandola a casa dopo averla umiliata. Ma lei tornò, determinata, più volte finchè quest’ultimo cambiò idea. Da quel luogo giunse, con un manipolo di soldati fidati di De Baudricourt, a Chinon per incontrare il Delfino, il quale la mise alla prova, a seguito delle quali la inviò a Poitiers per esaminarla ulteriormente. Superati tutti i test la inviò ad Orléans, senza alcun incarico ufficiale ma col compito ufficioso di salvare la Francia.

Al suo arrivo le truppe seguirono uno stile di vita rigoroso, severo, quasi monastico. Vennero fatte allontanare le prostitute e bandite le violenze e saccheggi. Vennero vietate le bestemmie, venne imposta la confessione e le preghiere quotidiane. Si evidenziò subito un rapporto di fiducia tra la popolazione civile e l’esercito francese. Giovanna inoltre raccolse un numero enorme di volontari da tutto il regno che desideravano partecipare all’impresa e guidò la battaglia contro gli inglesi, i quali alla fine si ritirarono. Il successo fu fondamentale per le sorti della guerra. Impedì infatti agli anglo-borgognoni di occupare la parte meridionale del Paese, raggiungendo il Delfino. A questa seguirono molte imprese militari delle quali non tratteremo.

La condanna

Giovanna D’Arco venne condannata ad appena diciannove anni alla pena capitale tramite rogo. Venne in precedenza catturata e trattenuta presso il castello di Beaurevoir dove venne trattata come una prigioniera di alto rango. Alla morte di Giovanni di Lussemburgo nel 1430, il vescovo Pietro Cauchon si presentò presso la struttura, pagando il riscatto a nome del re d’Inghilterra e rivendicando il desiderio di processarla secondo il diritto ecclesiastico. Venne accettato e la ragazza venne venduta agli inglesi, consegnata come prigioniera di guerra. Il Delfino Carlo VII non intervenne in quanto troppo popolare e quindi pericolosa, abbandonandola al suo destino. Secondo altri storici, questo non sarebbe corretto a causa di alcuni documenti che testimoniano gli accordi segreti per salvare la giovane. Infine venne rinchiusa a Rouen nelle mani degli inglesi.

Non fu semplice istituire il processo a causa della mancata partecipazione di alcune delle figure principali come Jean Lemaistre, vicario dell’Inquisizione di Rouen, il quale si rifiutò per “la serenità della propria coscienza“. Le udienze ufficiali ebbero quindi inizio il  3 gennaio 1431, prima con una imputazione per stregoneria e solo successivamente per eresia. Il 21 febbraio dello stesso anno si tenne la prima convocazione pubblica nella cappella del castello di Rouen. Le testimonianze sul processo sono frammentarie e non completamente attendibili in quanto la giovane veniva interrotta costantemente e la trascrizione delle parole omettevano tutto ciò che era a lei favorevole. Le venne anche chiesto perchè durante le battaglie indossasse vestiti maschili.

I verbali dimostrano lo spirito umoristico di Giovanna che non si perde d’animo neppure davanti a morte certa. Dal marzo dello stesso anno le udienze vennero tenute a porte chiuse nella prigione della giovane, seguendo una procedura inquisitoriale più decisa attraverso domande mirate volte a confondere e portare in contraddizione l’imputata. La fanciulla dimostrò ad ogni quesito delle risposte estremamente intelligenti e chi ebbe la possibilità di presenziare agli interrogatori ammisero che le sue frasi erano accurate ed estremamente sagge. A fine marzo le furono letti i 70 articoli che formavano la sua accusa, tra cui il fatto che avesse bestemmiato, stregato lo stendardo, frequentato le fate, venerato la sua armatura ecc., accuse naturalmente false e non provabili. Quella più rilevante tra tutte risultò essere quella che l’accusava di aver indossato abiti maschili, atto valutato come un marchio d’infamia. A maggio Giovanna venne trasportata in un torrione del castello e venne minacciata di essere torturata. Neanche davanti a questo rinnegò le voci e non rifiutò di piegarsi.

Jeanne d'Arc – Store norske leksikon

Il rogo come strumento di morte

Il 30 maggio 1431 a diciannove anni Giovanna morirà bruciata sul rogo davanti a una folla numerosa. La morte sul rogo è una forma di condanna capitale che venne utilizzata in tutto il mondo, in particolare nei casi di sodomia, stregoneria ed eresia. Solitamente era accompagnata da previa tortura, ma nel caso della ragazza siamo davanti solo ad una minaccia e non a violenze carnali ripetute. Il condannato viene legato ad un palo, sotto ed intorno al quale vengono disposti fasci di legna e paglia, permettendo una maggiore diffusione del fuoco. Sul rogo si moriva a causa per le gravissime ustioni o per collasso cardiaco o per asfissia da distruzione dei polmoni. Per evitare questa agonia, i parenti corrompevano il carnefice affinché stordisse o strangolasse il condannato.

Per ricostruire la storia di questo strumento di morte, bisogna tornare indietro nel tempo e tornare al periodo romano, in particolare quello cristiano. Si ipotizza che le origini di tale pratica fossero attribuibili alle popolazioni celtiche ma non abbiamo documenti che lo testimoniano. Nel periodo imperiale quindi erano rare le condanne al rogo. Nel periodo bizantino invece veniva usato come punizione per gli zoroastriani. Nell’Africa settentrionale, durante Unerico, molti vescovi cattolici che si rifiutarono di convertirsi all’arianesimo morirono in questo modo.

Gli studiosi hanno individuato delle forme di rogo anche nelle civiltà precolombiane, in particolare per le cerimonie sacrificali, mentre in India questo avveniva con le donne sposate che venivano sacrificate sulla pira con il marito morto. Tra gli Indiani d’America era uno strumento per uccidere i nemici catturati, al pari della trafittura con le frecce. Solo successivamente vennero associati in Europa agli eretici e alle streghe. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, dal Medioevo, era una pratica riservata alle donne condannate per tradimento.

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