Il successo di Zerocalcare, il più famoso fumettista italiano, spiegato attraverso la “letteratura circostante”.
In un contesto in cui il gusto del pubblico è sempre più abituato alla velocità e al consumo, letteratura degli anni Zero e fumetti sembrano andare piuttosto d’accordo.
Verso la paraletteratura
In un mondo in cui la velocità è diventata parte integrante della società e del nostro stesso modo di vivere le cose, la letteratura ha cercato di adattarsi il più possibile per poter sopravvivere e non esser tagliata fuori dalla concorrenza del mercato. Il libro lungo, prolisso, ideologicamente profondo e ben elaborato è qualcosa che dagli anni Zero in particolare comincia ad annoiare e a essere accantonato, con una conseguente svalutazione artistica e culturale. Tanto che Simonetti, un critico del nostro tempo, parla piuttosto di paraletteratura. Un libro odierno il più delle volte ha il solo fine consumistico di intrattenere. Si legge una volta e via, non se ne parla più, non ci si riflette sopra, perché non ce ne sarebbe bisogno. Ed ecco che in un contesto culturale del genere si inserisce perfettamente il fumetto. Poco condiviso in Italia, a dir la verità, ma che ha subito un impennata con le storie di Zerocalcare, il grande fumettista italiano, che è arrivato a vendere più di un milione di copie. Anche per spiegarne il successo, rintracceremo nei suoi fumetti moltissime di quelle caratteristiche che ritroviamo nell’attuale letteratura ipermoderna.
Sofferenza, comicità e realismo
Partiamo subito con il precisare però che a differenza della comune letteratura di consumo, i fumetti di Zerocalcare, ambientati nella periferia di Roma, hanno la capacità di farci riflettere su alcune realtà profondamente umane, a partire banalmente dai problemi più comuni che avvolgono le nostre vite sino a tirar fuori le insicurezze più nascoste e insite nel nostro animo. Quel sentimento di ansia e angoscia che talvolta ci toglie il sonno, quel che ci teniamo dentro da anni togliendoci il respiro, come dimostrano in particolar modo Scheletri e Un polpo alla gola. Tutta questa “negatività”, questa sofferenza (perché è di questo principalmente che parla, come l’autore stesso ha affermato), viene intervallata da momenti di ironia e di comicità, rafforzati dall’uso del dialetto romano, spesso molto diretto. Sofferenza e comicità: ecco il fulcro dell’intrattenimento di questi fumetti, senza escludere però momenti di sola ironia. Passando invece a componenti più “consumistiche”, ricordiamo che il fumetto è forse il testo scritto che più ci ricorda il cinema o il prodotto televisivo. È dotato di immagini e di moltissimi dialoghi, a volte vignette prive di scritte, il che rende la narrazione decisamente rapida. Altro elemento è il realismo: certo, tutto viene filtrato attraverso una chiave ironica, ma l’idea che ci trasmettono questi fumetti è che si tratti di esperienze realmente vissute. Questo fa sì che la storia abbia un impatto indubbiamente più efficace sul lettore. E lo stesso accade nella letteratura ipermoderna: abbiamo un numero sterminato di esempi di autobiografie o libri che si propongono di dire il vero. Saviano infatti in Gomorra afferma, con una semi citazione pasoliniana: “io so e ho le prove”, quando non tutto quello di cui parla è stato visto con i suoi occhi. Oppure in Timira di Wu Ming si dice: “questa è una storia vera, comprese le parti che non lo sono”.
Marchi e “cannibali”
Ma ancora non si è parlato di uno degli aspetti che forse più accomuna la narrativa di oggi e che permette al lettore di immergere la propria quotidianità all’interno del libro. Ovvero tutti quei riferimenti a prodotti, marchi, nomi di aziende, film, serie e cartoni, sintomi di una società industrializzata su scala globale. In Zerocalcare troviamo ad esempio allusioni a Star Wars, ai Cavalieri dello zodiaco, a Dragonball o addirittura all’Ikea. Altro elemento poi che tanto piace al gusto del pubblico è la violenza, tanto amata da quegli scrittori contemporanei definiti “cannibali”. Questa è presente in particolare nell’ultima uscita, Scheletri, la cui primissima vignetta è quella di un dito tagliato trovato per strada. Nella storia, poi, un ragazzo di nome Arloc caverà un occhio a un membro di una banda di ragazzi che gli voleva rubare delle bombolette spray, per assistere successivamente alla tremenda scena della madre, il cui marito poco prima aveva sparato alle sue tibie per gelosia. Ecco, per fare un esempio che valga per tutti, questi due elementi, ovvero violenza e allusioni a marchi, li troviamo in un racconto di Aldo Nove intitolato “Il bagnoschiuma” (che fa parte della raccolta Woobinda), in cui un ragazzo arriva a commettere il nefasto atto di uccidere i propri genitori per il semplice fatto che non utilizzano Vidal, il bagnoschiuma simbolo di libertà.