“Vogliamo la libertà” : il grido degli studenti bengalesi soffocato dal governo. O quasi

Domenica 5 Agosto è stato raggiunto l’apice della repressione operata dal governo del  Bangladesh nei confronti delle centinaia di studenti scesi in piazza per chiedere maggiore sicurezza stradale. Le ragioni di questa violenza scaturirebbero dalle paure della Awami League, partito attualmente al potere,  in vista delle future elezioni di dicembre, da sempre periodo di grande tensione tra i due partiti di maggioranza.

La miccia che avrebbe fatto scattare il ciclo di “proteste giovanili” sarebbe stata la morte di due studenti nel giorno del 29 Luglio. Si chiamavano Diya Khanam, 17 anni, e Abdul Karim, 18 anni, entrambi deceduti dopo essere stati investiti da un autobus che non avrebbe nemmeno tentato di soccorrerli. Il conducente del veicolo stava presumibilmente intraprendendo una gara di velocità con un suo collega, mentre i due ragazzi aspettavano solamente un passaggio per tornare a casa dopo scuola.

Quando il nostro autobus Dhaka Metro si è fermato”, ha detto uno degli studenti che si sono salvati dallo scontro, “l’altro autobus lo ha oltrepassato sul lato sinistro travolgendo i passeggeri in attesa”.

Polizia e Chatra League, a sostegno l’uno dell’altro mentre attaccano i protestanti. Fonte: SICS, Intagram

L’ultima goccia.

Il giorno dopo sono stati centinaia gli studenti che sono scesi nelle piazze per protestare e per chiedere al proprio governo di intervenire in quella che sembra essere una situazione ormai insostenibile: Dacca, la capitale del Bangladesh, dove Diya e Abdul sono morti, conterrebbe infatti ben 7 milioni di persone, ma ancora praticamente nessuna regolamentazione sulla sicurezza stradale. In Bangladesh, le compagnie private spesso assumono personale senza alcuna licenza per la guida e questo porta a delle conseguenze devastanti: solo quest’anno sarebbero stati già più di quattromila gli incidenti mortali.

Le proteste, iniziate pacificamente dagli studenti del Notre Dame College, si sono  trasformate in una vera e propria carneficina quando, lo scorso weekend, le forze di polizia si sono abbattute senza pietà sul gruppo di protestanti, scaricando su di loro pallottole di gomma e gas lacrimogeni, fino a ferire ben più di cento persone. Il tutto dopo che il governo aveva precedentemente tentato di bloccare la fuga di informazioni all’estero sospendendo il traffico di 3G e 4G. La giustificazione della premier Sheikh Hasina per questa peculiare decisione sarebbe stata quella di aver cercato di evitare che gli studenti si potessero organizzare, temendo che tra loro si nascondessero anche bande armate violente. La violenza, però, sembra essere arrivata da tutt’altra parte.

Studente bengalese ferito durante le proteste. Fonte: Instagram.

Le proteste sul Web.

Anche su Twitter sono subito esplose le proteste, marchiate con l’hashtag #WeWantJustice che, dopo essere stato tempestivamente bloccato dal governo, è stato cambiato in #RebootBangladeshNon solo il tentativo di censura mediatica si sarebbe dunque rivelato fallimentare, ma avrebbe pure messo in allerta più di una Organizzazione Internazionale, fra le quali anche Amnesty International e Human Rights Watch, ambedue da subito scese in campo in difesa dei diritti umani degli studenti, violati a più riprese dalle forze dell’ordine bengalesi. Sono infatti centinaia le foto che stanno girando proprio ora su Social Network come Instagram e Twitter che raffigurano ragazzi ricoperti di bende, ragazzine macchiate di sangue per le percosse e chissà quale altro tipo di violenza.

Secondo l’associazione Reporter senza frontiere, il  paese si ritroverebbe attualmente a sfiorare il record della più bassa libertà di stampa mondiale, grazie anche al caso del noto fotografo bengalese e attivista Shahidul Alam, 63 anni, arrestato subito dopo la messa in onda della sua intervista con Al Jazeera. In essa, Shahidul sostiene che la causa delle rivolte scoppiate non sia solamente data dalle condizioni del traffico urbano, ma anche e soprattutto dalla situazione finanziaria in cui versa il paese e dalla presunta corruzione che a poco a poco sta divorando la classe dirigente. Di fronte a tali accuse, il partito di maggioranza della Awami League avrebbe inviato più di una ventina di agenti in borghese per prelevare, direttamente da casa sua, il fotografo, che sarebbe stato tenuto in custodia per ragioni di interrogatorio. All’arrivo al tribunale, qualche giorno dopo, Shahidul non sarebbe stato in grado di reggersi in piedi per le percosse ricevute durante le svariate “sedute”.

Disegno di Gianluca Costantini, il ragazzo raffigurato è lo stesso della foto precedente.

Un sostegno dall’Italia.

Fra coloro che lottano assieme ai giornalisti per far sentire la voce degli studenti ci sarebbe pure un disegnatore italiano, Gianluca Costantini, che sulle sue pagine Twitter e Facebook continua a pubblicare i suoi lavori nei quali vengono raffigurate scene tratte dalle poche foto accessibili dagli scontri. Ognuna di essere reca la scritta: “We Want Justice”.

“Sono stato contattato da uno studente bengalese che mi ha chiesto di aiutarli con i miei disegni, durante le proteste nelle piazze di Dacca. Il modo in cui le proteste sono evolute mi ha stranito e toccato molto, così ho preso a disegnare ciò che stava succedendo in tempo reale.” ha dichiarato durante un’intervista sul canale di Al Jazeera English.

Marta Armigliato