Le premesse della scoperta
Era già risaputo che Marte, in passato, ebbe tutte le condizioni necessarie per ospitare la vita. Possedeva atmosfera e un clima molto simile a quello terrestre. Con il passare del tempo queste condizioni sono venute meno, dunque, con una pressione atmosferica molto più bassa e con la scomparsa dell’effetto serra che prima riscaldava il pianeta, l’acqua liquida è andata trasformandosi in ghiaccio. Quest’ultima ha però lasciato i solchi che in passato erose, come canali e laghi, che ancora oggi sono visibili sulla sua superficie. Il fatto di avere una storia così simile a quella della Terra portò gli scienziati, qualche decennio fa, a interrogarsi su dove fosse finita tutta quell’acqua, ipotizzandone una possibile presenza allo stato liquido sotto la superficie marziana. Per arrivare a questa conclusione si pensò ad un modello analogo a quello terrestre dei laghi sub-glaciali antartici: l’enorme pressione dei ghiacciai, di kilometri e kilometri, modifica il punto di solidificazione dell’acqua sottostante dunque, anche se ad una temperatura molto inferiore a 0°c, l’acqua rimane nel suo stato liquido.
La tecnologia e i suoi risultati
Dimostrare che lo stesso potesse replicarsi su Marte fu tutt’altra storia. Grazie ai giganteschi passi in avanti della tecnologia tutto iniziò lentamente a schiarirsi, anche se non totalmente. Tra il 2012 e il 2015 infatti, un radar di produzione completamente italiana chiamato Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding (MARSIS) montato sul Mars Express, la sonda spaziale dell’ESA, permise di analizzare e studiare la regione meridionale del Pianeta Rosso, una sorta di “Polo Sud“, campionandola 29 volte. Inizialmente i risultati davano l’impressione che ci fosse qualcosa di anomalo in quella zona, ma nulla di certo, dato che il segnale riflesso da essa appariva solo in alcuni passaggi orbitali. Si comprese in seguito che il motivo di questa discontinuità di segnale venne causato dal computer di bordo che “filtrava” alcuni dettagli del segnale facendo una sorta di media generale dei pixel ottenuti, per ridurre la grandezza del flusso di dati. Si riuscì così a risolvere il problema utilizzando un chip di memoria dove inserire i dati grezzi di alcune tratte compiute dalla sonda. Bypassato questo problema, si è riusciti finalmente a notare con più nitidezza questa sorta di alterazione del segnale ricevuto, identificando il lago sotterraneo di larghezza 20 km, con una vaga forma triangolare, a un chilometro e mezzo dalla superficie. La scoperta, confermata da Roberto Orosei, dell’Istituto di Radioastronomia di Bologna, Enrico Flamini docente di Planetologia dell’Università di Pescara e Elena Pettinelli docente dell’Università Roma Tre, deve però completarsi garantendo che l’acqua presente in quel lago sia effettivamente liquida data la temperatura di -74°c e la pressione del ghiacciaio superiore di 1,5km. L’ipotesi di Orosei sta nella forte salinità dell’acqua marziana, essa dovrebbe avere in sè disciolti sali di magnesio, calcio e sodio che garantirebbero l’ulteriore abbassamento del punto di solidificazione.
La scoperta, di cruciale importanza e attesa da decenni, porterà ad uno studio ancora più accurato del sottosuolo marziano sfruttando al meglio questa tecnologia made in Italy, che conferma ulteriormente la qualità dei nostri scienziati.
William Mongioj