Thor, Franklin e Van de Graaff: l’elettrizzante scienza del martello Mjollnir,

Come i sistemi parafulmini e il generatore elettrostatico di Van de Graaff possono spiegarci la fisica del signore dei fulmini

Thor, dio norreno e ultimamente anche supereroe, è sempre accompagnato dal Mjollnir, ma cosa ci dice la scienza sul martello che evoca i lampi?

 

Fulmini e tuoni: come funzionano?

Thor è una divinità e, si sa, non ha bisogno di rendere conto dei propri poteri, ma il mistero dei fulmini affascina l’uomo da tempi remoti. Tale enigma è stato così difficile da affrontare che per secoli si è preferito sostenere che fosse tutta opera di forze extra-terrene, negando e ostacolando qualsiasi teoria alternativa. Solo nel XVIII secolo il mondo scientifico ha iniziato a studiare approfonditamente i fenomeni elettrici e oggi possiamo dare una risposta, per quanto il mondo dei fulmini sia estremamente vario e complesso e meriterebbe una trattazione a sé. In generale, si parla di una scarica elettrica tra due corpi aventi un’elevata differenza di potenziale, ovvero lo spostamento complessivo di cariche da un punto a potenziale maggiore verso uno a potenziale minore. E’ lo stesso principio alla base del funzionamento dei comuni circuiti elettrici. All’origine del fenomeno c’è appunto la grande tensione tra le particelle delle nuvole e il terreno o gli oggetti ad esso direttamente collegati: prima della scarica può valere anche 100 milioni di volt, l’equivalente di più di 60 milioni di batterie AA. I cumulonembi carichi elettricamente inducono allo stesso tempo una distribuzione di cariche al suolo e nell’aria che separa i due elementi, finché la tensione non è così alta che le cariche si spostano fisicamente attraverso la colonna di gas ionizzato che, appunto, chiamiamo fulmine. In realtà, si possono verificare fulmini tra nuvole diverse o all’interno della stessa e ne esistono perfino di ascendenti. In ogni caso, la ionizzazione del gas è il motivo per cui alla scarica associamo sia una luce, il lampo, che un rumore, il tuono. L’aria circostante viene, infatti, repentinamente riscaldata ad altissime temperature e si espande dando origine ad un’onda di pressione, che noi percepiamo come un forte scoppio. Vediamo prima il lampo perché viaggia alla velocità della luce, circa 300 mila km/s, mentre il tuono viaggia alla velocità del suono, ovvero circa 340 m/s. Poste queste premesse, dunque, come fa Thor ad attirare o creare i fulmini solo con il suo martello?

Distribuzione delle cariche durante un temporale (immagine tratta dall’Encyclopaedia Britannica, www.britannica.com)

I sistemi parafulmini: come Thor attira il fulmine su di sé

Tra i pionieri dello studio dei fenomeni elettrici non possiamo non citare Benjamin Franklin (1706-1790), padre fondatore degli Stati Uniti d’America e inventore provetto, che a metà del XVIII secolo teorizzò e realizzò il primo parafulmine della storia. Franklin aveva condotto da sé gli esperimenti sulle proprietà dell’ambra e osservato il comportamento che gli oggetti appuntiti mostrano quando carichi elettricamente, così ebbe l’idea di proteggere artificialmente gli edifici incanalando i fulmini. Il progetto originale prevedeva l’installazione sulla sommità della costruzione di una lunga asta metallica terminante in un fiocco di punte, collegata direttamente al terreno tramite cavi. Tale collegamento è chiamato appunto ‘messa a terra’ e fa sì che la corrente portata dal fulmine trovi un canale privilegiato in cui scorrere e sia assorbita dal suolo, considerato a potenziale nullo. Ma perché la saetta dovrebbe proprio cadere sulla nostra asta? In realtà, i fulmini sono generalmente attratti dagli oggetti affusolati e verticali, ragione per la quale si sconsiglia di rifugiarsi sotto un albero durante un temporale. Le punte deformano le superfici equipotenziali dell’atmosfera circostante, addensandole marcatamente nelle proprie vicinanze: per il cosiddetto potere disperdente delle punte l’aria si ionizza e il fulmine è naturalmente attratto. L’efficacia del parafulmine si rivela essere doppia. Innanzitutto, attira la scarica e la disperde, evitando sovraccarichi sulle reti degli edifici. Inoltre, ha una funzione preventiva perché la punta carica positivamente ionizza l’aria al contrario rispetto a come fa una nuvola e tale fenomeno può portare a un parziale annullamento delle cariche negative nel nembo sovrastante. E dunque, sì, quando Thor alza il martello verso il cielo in pratica crea una punta che attrae a sé le saette, le quali a loro volta si scaricheranno a terra attraverso il corpo del dio o di un qualche sventurato nemico.

Schema base di un parafulmine. Ad oggi si preferisce usare un sistema a gabbia di Faraday, che scherma l’interno dell’edificio dal campo elettrostatico esterno.

I generatori elettrostatici e la creazione di tensione

Se non sono previsti temporali o se Thor non è in vena di generarne uno, può sempre ricorrere a un particolare tipo di macchina elettrostatica di cui troviamo già traccia negli studi di Alessandro Volta (1745-1827) e che trova una realizzazione efficace nell’opera di Robert Van de Graaff (1901-1967). Volta costruì nel 1775 l’elettroforo perpetuo, un rudimentale strumento in grado di essere caricato per induzione. Esso consiste in un piatto metallico riempito di resina, caricata elettricamente per strofinio, detto schiacciata e in un disco metallico fissato ad un manico isolante, detto scudo. Il secondo elemento viene avvicinato alla resina carica, cosicché le cariche negative del disco siano respinte verso il manico lasciando quelle positive sulla faccia rivolta al piatto. Toccandone il lato superiore le cariche negative si scaricano a terra e scocca una debole scintilla, mentre lo scudo resta carico positivamente. Tuttavia la carica dell’elettroforo di Volta è molto modesta, al contrario di quella che è in grado di accumulare il generatore di Van de Graaff. Quest’ultimo era un fisico statunitense e presentò il suo progetto nel 1931: già all’epoca era in grado di generare enormi tensioni e in condizioni ideali si stima si possa toccare il milione di Volt. Il generatore funziona a partire da una cinghia in materiale isolante caricata per induzione da una serie di punte, che ruotando trasferisce la propria carica ad un pettine metallico. Quest’ultimo la distribuisce poi su una superficie sferica o a cupola, dove si accumula aumentando progressivamente il potenziale elettrico. Il processo non si arresta finché non si spegne la macchina o non la si fa scaricare, ad esempio avvicinandovi un conduttore ed osservando la scintilla elettrica tra i due, come un fulmine in miniatura. Non è difficile allora pensare che il Mjollnir funzioni in maniera simile, accumulando sulla propria superficie esterna le cariche positive in attesa di un nemico/conduttore su cui scaricarsi con fulmini e saette.

Schema del generatore di Van de Graaff, con distribuzione di cariche e scarica su conduttore (fonte: wikipedia.org)

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