Terremoto in Albania: perché ci sentiamo così vicini alle vittime? Il valore intrinseco dell’umanità

Il bilancio della tragedia è di 50 morti ed una quantità smodata di feriti. Nonostante tutto, però, c’è ancora spazio per la solidarietà.

Un disastroso terremoto ha sconquassato l’Albania, il 30 novembre 2019 è stato dato lo stop alla ricerca dei superstiti. Perché ci sentiamo così vicini ai cittadini albanesi? Perché l’umanità assume tanto valore? Proviamo a far luce sul reale significato dell’aggregazione umana, soprattutto alla luce degli avvenimenti recenti, avvenimenti che hanno visto la mobilitazione di massa in sostegno delle vittime in Albania e dei familiari di queste.

Cronaca di una catastrofe

Giovedì 26 novembre 2019, Tirana e Durazzo, Albania. Un terremoto di magnitudo 6.4 gradi sulla scala Richter stravolge per sempre le vite di migliaia di cittadini albanesi. Unitamente ad altre, anticipatorie o di assestamento che fossero, questa scossa ha spazzato via centinaia di abitazioni, danneggiando migliaia di edifici e facendo piombare nel terrore le due città albanesi, assieme a tutte quelle circostanti. Dopo le prime operazioni di soccorso, che hanno previsto il trasferimento dei feriti presso gli ospedali vicini, sono immediatamente state avviate le procedure di ricerca dei dispersi, nella speranza di ritrovarli ancora in vita. Il premier Edi Rama, il giorno 30 novembre, quattro giorni dopo la catastrofe, ha annunciato la fine delle procedure di ricerca. Tra accuse reciproche di inefficienza, consapevolezza della propria mancanza di preparazione e sconforto generale, il premier ha deciso, con una scelta obbligata, di porre fine alle speranze dei famigliari e dei parenti dei dispersi. Che cosa significa però, nel concreto, il bisogno di aggregazione che si verifica in questi casi? Perché siamo tutti costernati per quanto accaduto, nonostante questo non sia avvenuto direttamente a noi? La risposta risiede nel concetto di umanità che abbiamo sviluppato nel corso del tempo.

Essere umani, esserlo assieme

Dalle tracce a nostra disposizione sappiamo che l’essere umano ha sempre cercato di collaborare con i suoi simili. Non parliamo soltanto di una collaborazione puramente opportunistica, volta al soddisfacimento dei propri bisogni primari (nella fattispecie il bisogno di risorse, così da potersi nutrire), parliamo invece di qualcosa di decisamente più profondo, un legame stretto con gli altri che gli ha permesso, nel corso del tempo, di formare veri e propri aggregati. Questa socializzazione caratteristica appartiene, in realtà, solo all’uomo, perché sebbene si riscontrino esempi di questa capacità anche nel mondo animale, essendo questi estremamente limitati e primordiali, sarebbe inopportuno fare un paragone con l’uomo stesso. è proprio in virtù di questa volontà orientata verso l’aggregazione che, oggi, diamo un peso importante al “rimanere umani”, cioè all’umanità, cioè, tanto per chiarirci, al “distinguerci nel mondo animale”. Si tratta di una volontà intrinseca e, spesso, nemmeno ci si accorge di star ricercando il valore dell’umanità negli altri ma, di fatto, è in atto un costante tentativo di sentirsi assimilabili, almeno sotto qualche aspetto, al resto del genere umano.

Il disastro come causa di aggregazione: la solidarietà

Per qual motivo, dunque, proviamo un così forte senso di vicinanza e di comprensione per chi, più sfortunato di noi, ha dovuto sopportare una catastrofe tanto grande? Il fatto è che, proprio in virtù della vicinanza che proviamo, ci sentiamo accomunati da “qualcosa”. Il sentimento che scaturisce da questa situazione è quello della “solidarietà”, un sentimento estremamente complesso e sfaccettato. Quando parliamo di solidarietà trattiamo di un sentimento che comprende, in verità, tantissime altre realtà: necessità e capacità di comprensione del prossimo, empatia, condivisione dello stato di sofferenza ed ansia generalizzato, sostegno ed aiuto concreto al prossimo. Allo stato attuale delle cose, tuttavia, è ancora impossibile definire con certezza se questa solidarietà sia genuina volontà di offrire il proprio aiuto oppure se, contrariamente, sia uno strumento attraverso il quale ottenere un “feedback” del tutto personale rispetto al proprio stato di umanità. In sostanza è impossibile definire precisamente se si tratti di un moto di genuina condivisione oppure di uno strumento individualistico ed egocentrico di “social pressure relief”, ovvero di “sollievo dalla pressione sociale”. Perché, dopotutto, è anche l’ambiente sociale che circonda l’uomo ad imporgli, moralmente parlando, di essere solidale.

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