Il tumore, in ogni sua forma, è una delle malattie più diffuse nel nostro Paese, come confermano i dati AIRC. Spesso viene sostituito con il termine neoplasia, ed indica la condizione in cui cellule di un tessuto iniziano a proliferare in modo caotico e disordinato non rispondendo più ai diversi meccanismi di controllo, né locale, come l’inibizione della proliferazione, né generale. Ma il concetto è esattamente lo stesso. Un recentissimo studio pubblicato su Science apre la possibilità di usare le cellule impazzite contro se stesse. Da molto tempo oramai la ricerca sui tumori sta progredendo, e le cure diventano sempre più mirate, specifiche e con meno effetti collaterali. Ma quanto sa realmente la gente in merito alle terapie anti-tumorali?
Self-seeding, la nuova frontiera
Si tratta di un nuovo metodo per la cura dei tumori attualmente testato solamente su topi in laboratorio. Sebbene studi teorici a riguardo siano stati pubblicati già nel 2010, è di due giorni fa la notizia (in versione italiana su Le Scienze) di una verifica pratica di successo di tali teorie. Il concetto rivoluzionario è questo: modificare alcune cellule tumorali del paziente in modo che “diano la caccia” alle proprie simili. Da questo il nome della tecnica self-seeding (auto-impianto). Rivoluzionario. Non sarebbe necessario l’intervento di sostanze esterne come farmaci o radiazioni, sarebbe perfettamente specifico, come limitatissimo spazio per effetti collaterali. E dulcis in fundo sarebbe efficace anche sui tumori metastatici (la metastasi è quella condizione nella quale le cellule tumorali sominciano ad acquistare motilità e si staccano dalla massa principale (localizzata in uno specifico organo) per andare a “colonizzare” altri tessuti/organi), molto più aggressivi e nella quasi totalità dei casi mortali.
Nel self-seeding le cellule “impazzite” vengono opportunamente ingegnerizzate per attivare specifici recettori che innescano l’apoptosi (morte cellulare programmata) delle cellule tumorali dello stesso tipo, una volta legatesi a esse. Eliminate queste, rimangono le cellule sensibili ai trattamenti standard. Le cellule tumorali possono provenire da un donatore esterno (per un nuovo caso di tumore) o da un donatore autologo (quindi il paziente stesso è il donatore) asportando la massa tumorale primaria e utilizzando quelle cellule. Questo secondo metodo è previsto nel caso in cui la patologia sia recidiva, ovvero si ripresenti dopo essere sembrato curato. Ma ci vorrà del tempo prima di poter applicare questa soluzione, quindi quali terapie anti-tumorali sono state usate fino ad oggi (e ancora per qualche tempo)?
Chemio e radioterapia, il presente che diventa passato
Chemioterapia e radioterapia sono oramai termini di dominio pubblico, considerato anche che il loro studio è cominciato rispettivamente negli anni della Seconda Guerra Mondiale, nel tentativo di fare un uso non solo distruttivo delle armi chimiche, e alla fine del 1800. Ma spesso nascono dei dubbi in merito a come funzionino. La chemioterapia si basa sull’uso di farmaci che vanno a colpire le cellule del nostro corpo che proliferano (ovvero si moltiplicano) molto rapidamente, in quanto blocca il processo di divisione. Questa rapidità è una caratteristica fondamentale delle cellule tumorali, ma non solo: infatti anche le cellule di capelli, pelle e sistema immunitario sono coinvolte. È una terapia che coinvolge tutto l’organismo, e quindi ha alcuni effetti collaterali pressochè inevitabili. Nonostante si sia evoluta nel corso degli anni, sebbene i suoi benefici siano di gran lunga superiori (in termini percentuali) ai danni che può provocare, e nonostante si scelgano con sempre maggior cura i pazienti da sottoporre a tale processo, facendolo solo se strettamente necessario, si sono cercate alternative.
La radioterapia invece non prevede l’uso di farmaci, bensì per l’appunto di radiazioni, somministrate a circa il 60% dei pazienti malati di tumore (dati USA). A differenza della chemio, è un metodo a raggio più ristretto e, quindi, colpisce quasi esclusivamente la regione interessata da massa tumorale, inibendo la proliferazione delle cellule. Purtroppo non si può ancora essere sufficientemente precisi, e quindi una piccola porzione di tessuti sani circostanti vengono coinvolti, ma gli effetti collaterali che ne possono derivare sono solitamente a breve termine. I ricercatori però sono sempre alla ricerca della perfezione, e quindi negli ultimi anni hanno pensato a nuove e migliori terapie anti-tumorali.
Immunoterapia, non più solo futuro
Una di queste è sicuramente l’immunoterapia, che nel campo dei tumori sta prendendo sempre maggiormante piede. Il concetto di base è molto semplice: potenziare, o ripristinare se necessario, usando sostanze prodotte dal corpo o in laboratorio, le difese naturali dell’organismo. Si possono usare metodi diversi per raggiungere il medesimo scopo. Ad esempio i cosiddetti anticorpi monoclonali, che riconoscono una particolare struttura sulle cellule tumorali, indicandole al sistema immunitario come materiale da eliminare. Ma esistono anche dei veri e propri “vaccini”, che lavorano più o meno nella medesima maniera. Sono leggermente diversi da quelli ai quali siamo solitamente abituati, in quanto sono soprattutto curativi e non preventivi/protettivi.
La nuova frontiera delle terapie anti-tumorali è però un’altra, anche se ci vorrà ancora del tempo prima che possa effettivamente diventare utilizzabile sull’uomo. I tumori nel futuro si evolveranno in modo da cercare di trovare un modo di sopravvivere anche a queste nuove terapie, e l’eterna guerra tra la medicina e le malattie proseguirà. Ma per il momento, la scienza sembra poter segnare un bel punto a proprio favore.