May you live in interesting times- È questo il tema della Biennale di Arte, che aprirà i battenti l’11 maggio 2019 e si troverà ai Giardini, Arsenale e in altri luoghi di Venezia.
La frase trae origine da un motto orientale, poi diventato molto popolare nel mondo anglosassone.
Interessante è il fatto che se in Cina si tratta di un cattivo auspicio, in quanto la realizzazione di sè si può ottenere solamente in tempi di pace e tranquillità, nella cultura prima britannica e poi occidentale viene interpretato come un augurio in buona fede: è in tempi difficili che si può dare il proprio meglio.
Da sempre nel mondo occidentale e in quello orientale ci sono due diverse prospettive per quanto riguarda la guerra e la difficoltà, basti pensare all’etimologia della parola “pace”. Questa proviene dal latino pax ed il suo significato originario indicava un accordo conchiuso tra due parti nemiche contendenti. Ciò presuppone, dunque, che lo stato naturale delle cose sia quello bellico e che la pace sia effetto di un compromesso.
A contribuire a questa concezione è naturalmente la cultura filosofica: la concezione dialettica della storia- affermatasi tra la seconda metà dell’ottocento e il novecento- suggerisce che la guerra e il conflitto siano fondamentali alla dinamicità degli eventi, necessari allo sviluppo e al progresso.
Il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole. La guerra preserva i popoli dalla fossilizzazione, alla quale li ridurrebbe una pace durevole – Hegel, Lezioni Sulla Filosofia E Sulla Storia
Invece, in arabo salaam (pace) trae origine dalla radice della parola “salute”, dunque come qualcosa di estremamente necessario al benessere psicofisico. Lo stesso vale per il cinese ping che significa sia pace che tranquillità. E’ importante sottolineare però che “calma” non vuol dire staticità, sinonimo di morte nella filosofia orientale, ma cavalcare con fermezza i mutamenti. La parola pace si può sostituire con quella di non-turbamento, che indica uno stato psicofisico di atarassia, alla maniera stoica o eutimia, alla maniera Democritea.
Per questi motivi, May you live in interesting times può essere una maledizione o una preghiera, ma tutto è lasciato alla libera interpretazione.
C’è molto di attuale in questa ambiguità- soprattutto prendendo coscienza del fatto che viviamo, appunto, in interesting times- e per questo è stata scelta come input per le opere degli artisti. Infatti questi non fanno lavori interessanti se hanno un solo punto di vista, sostiene uno degli ideatori.
In tempi di crisi, incertezza e disordini l’arte può e deve illuminare e chiarificare la realtà, o almeno questo è l’ambizioso obiettivo della cinquantottesima edizione della Biennale.
“In un’epoca nella quale la diffusione digitale di fake news e di ‘fatti alternativi’ mina il dibattito politico e la fiducia su cui questo si fonda” dice Ralph Rugoff, direttore delle arti visive “vale la pena soffermarsi, se possibile, per rimettere in discussione i nostri punti di riferimento“.
L’Esposizione Internazionale d’Arte si presenta da sempre come una macchina del desiderio: stimola il visitatore attraverso un’arte che spinga al tempo stesso al piacere estetico e al pensiero critico. Eppure, molti si chiedono se sia possibile un dialogo tra opera e spettatore, che non preveda eccessiva intermediazione.
Infatti, l’arte contemporanea è ostica a molti, totalmente incomprensibile per altri. Eppure, proprio per la sua difficile interpretazione spinge il visitatore passivo a diventare un protagonista attivo, il quale filtra colori, immagini o vuoti attraverso la propria personale esperienza e memoria. L’opera lascia qualcosa di sé a chi passa e chi passa ha la possibilità di capire meglio sé stesso e forse anche ciò che lo circonda.
Se l’arte deve avere un ruolo sociale, allora questo ruolo deve essere costruttivo e stimolante rispetto allo sviluppo del nostro pensiero. In questo senso, il prendersi del tempo per visitare una mostra diventa (o meglio deve diventare) un momento di crescita personale e di riflessione.
L’arte è il contrario della disintegrazione. Perché la ragione propria dell’arte, la sua giustificazione, è appunto questa: di impedire la disintegrazione della coscienza umana, nel suo quotidiano, e logorante, e alienante uso col mondo; di restituirle di continuo, nella confusione irreale, e frammentaria, dei rapporti esterni, l’integrità del reale, o in una parola, la realtà. -Elsa Morante