Nella quarta stagione di “Stranger Things” si accenna alle perplessità che caratterizzarono l’opinione pubblica e scientifica degli anni ’80 verso il gioco di ruolo “Dungeons and Dragons”.
Le ricerche sulla violenza appresa attraverso il gioco sono molteplici e discordanti. L’interrogativo di base sostanzialmente è: giocare a D&D o a GTA allena i ragazzi a sparare in giro per le città, organizzare risse o fondare sette sataniche? Siamo spiacenti per Vecna ma pare che la risposta non sia affermativa. Vediamo perché.
“D and D: The Devil’s Game”
“Il Diavolo è arrivato in America. Dungeons and Dragons: all’inizo considerto un innocuo gioco di finzione, ora mette in allarme genitori e psicologi. Gli studi hanno collegato il comportamento violento al gioco, dicendo che promuove il culto satanico, il sacrificio rituale, la sodomia, il suicidio e persino l’omicidio”. Così inizia un articolo che Eddie Munson (carina l’assonanza con Charles Manson), legge in mensa alla Hawkins High Scool. Siamo nel primo episodio della quarta stagione di “Stranger Things”, ma l’articolo in questione non è molto diverso da quelli che giravano realmente in America negli anni ’80.
D&D è stato creato da Gygax e Arneson e pubblicato per la prima volta nel 1974. Da allora ci sono state varie modifiche e rivisitazioni ma, in sostanza, si tratta del primo gioco di ruolo a carattere fantasy mai prodotto. In pratica, un gruppo di giocatori assume il ruolo di uno o più personaggi e si confronta nel contesto di un mondo immaginario, seguendo una specifica narrazione.
Gaming e violenza appresa
Gli studi sulla violenza appresa nascono, negli anni ’60, grazie a Bandura. E’ a lui che dobbiamo le prove sperimentali secondo cui la violenza può essere appresa tramite l’osservazione e l’imitazione. Tuttavia, lo stesso Bandura, padre del comportamentismo, è successivamente giunto alla conclusione che l’essere umano non sia una semplice tabula rasa che si riempie attraverso singoli episodi dell’esperienza. Le persone sono il risultato di infinite variabili, sia genetiche che legate all’esperienza sociale, in modo continuativo. In particolare, le ricerche effettuate sulla violenza appresa attraverso il gaming, sono abbastanza discordanti tra loro. Alcune di esse affermano che una ripetuta esposizione a giochi violenti potrebbe ridurre la sensibilità emotiva. Tuttavia, la ridotta sensibilità sembra essere limitata ai minuti successivi al gioco e non definitiva. I giochi di ruolo, anche quelli più truci, non rendono dunque violenti. Perché? Il motivo sembra essere che il mondo virtuale e quello reale presentano un netto scarto nella mente delle persone. Il “mondo fantastico” che creiamo giocando a D&D è differente da quello della vita di tutti i giorni. E’ lo spazio in cui ci concediamo di saltare su draghi volanti in cerca di avventure perché, in quello reale, al massimo possiamo saltare a conclusioni affrettate.
“Role playng” e disturbi mentali
Il numero di persone che sono finite in sette sataniche come diretta conseguenza dei giochi di ruolo è zero. Chi finisce in certi giri di solito ha ben altri problemi, legati alla vita reale. Ma cosa succede se a giocare a D&D è una persona già affetta da disturbi mentali? Le ricerche in merito mostrano che dipende dal caso specifico. Da un lato abbiamo uno studio su un gruppo di adolescenti, sottoposti a cure psichiatriche, nel quale l’uso di questi giochi ha accentuato sintomi già presenti. Dall’altro lato, ci sono casi come quello di un paziente schizoide con tendenze suicide o quello di una donna che soffriva di depressione sui quali D&D ha avuto un effetto terapeutico. La risposta, dunque, è: dipende. E’ bene tenere a mente, però, che i giochi di ruolo possono fungere da “miccia” ma non sono loro la dinamite su cui una persone è seduta.
Il “role playng” come strumento terapeutico
I giochi di ruolo sono uno strumento usato in terapia, nelle scuole, persino in alcuni corsi aziendali per aiutare gli studenti a sviluppare l’empatia. Mettersi nei panni di un’altra persona, anche della più spietata al mondo, può essere uno strumento utile anche per farci capire perché non vorremmo mai diventare come quella persona. Il gioco di ruolo è uno strumento e, come per tutti gli strumenti, la differenza la fanno sempre la modalità e lo scopo con cui viene utilizzato.
Come dice il nostro caro Eddie: “Siamo degli svitati perché ci piace giocare a un gioco di fantasia. Ma la passione per la banda, per la scienza o per le feste o per un gioco in cui devi buttare la palla nella cesta del bucato?”
Insomma, cerchiamo tutti un modo per prendere una boccata d’aria lontani dalla realtà, l’importante è portarsi sempre le chiavi appresso.