Staphylococcus epidermidis: il batterio letale che vive sulla nostra pelle

Apparentemente innocuo

Ad evidenziare i meccanismi che rendono letale il batterio un nuovo studio, pubblicato su Nature Communications da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bath, nel Regno Unito, guidati da Sam Sheppard. Gli studiosi hanno raccolto campioni biologici di soggetti colpiti da infezione in seguito a un intervento di protesi d’anca o di ginocchio e hanno effettuato un tampone cutaneo su alcuni volontari sani. La speranza dei ricercatori è quella di comprendere perché alcuni ceppi di S. epidermidis sono causa di malattie in determinate circostanze, in modo da scoprire in anticipo quali pazienti sono a maggior rischio d’infezione dopo un intervento.

Batteri in 3d. In questa immagine dei bacilli (fonte: depositosphotos)

S. epidermidis è una delle 33 specie batteriche classificate nel genere Staphylococcus: un batterio gram positivo particolarmente resistente, immobile (sprovvisto di flagelli per il movimento), disposto in formazione grappolari. Dopo una notte di incubazione, lo Staphylococcus epidermidis forma colonie bianche dal diametro di 1-2 millimetri. Su terreno agar sangue non produce emolisi (no distruzione dei globuli rossi). Per completare la breve scheda di presentazione, ricordiamo che Staphylococcus epidermidis è un batterio  anaerobio facoltativo (capace quindi di sopravvivere anche in assenza di ossigeno). Questo batterio costituisce una buona porzione della normale flora cutanea e delle mucose: in condizioni fisiologiche, il batterio non crea alcun disturbo all’ospite. Basti pensare che lo Staphylococcus epidermidis rappresenta il 65-90% di tutti gli stafilococchi che popolano cute, vagina, uretra e cavo orale.

Scanning a microscopio elettronico di una colonia di cocchi (fonte: footage framepool)

Il rischio

Confrontando i vari genomi dei ceppi di epidermidis i ricercatori, con a capo Samuel K. Sheppard, hanno scoperto – nei batteri associati alle infezioni61 geni non presenti in campioni sani. I geni identificati aiutano il batterio a replicarsi nel sangue, evitando la risposta immunitaria dell’organismo, e quindi a formare biofilm (un’aggregazione di microrganismi che ha lo scopo di potenziare le interazioni tra loro e dare vita a processi molto vari) che lo rende particolarmente resistente agli antibiotici: in pratica, questi geni sono i responsabili della patogenicità dei batteri.

Ricostruzione 3d di una colonia di cocchi (fonte: dicyt

Le caratteristiche e la distribuzione di questi tratti fanno ipotizzare che essi possano essere acquisiti per trasferimento genico orizzontale, un meccanismo comune tra i batteri, anche fra loro molto differenti, che trasferisce determinati geni da un batterio ad un altro non discendente. A preoccupare è soprattutto l’elevata diffusione del batterio. “Poiché sono così abbondanti, questi batteri possono evolversi molto velocemente scambiando i geni tra di loro”, sottolinea Sheppard. “Se non facciamo nulla per controllare questo fenomeno, c’è il rischio che questi geni possano diffondersi ulteriormente, rendendolo potenzialmente indistruttibile. Occorreranno ulteriori studi per arginare il fenomeno delle infezioni e dell’antibiotico-resistenza”.

 

Umberto Raiola

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