Il romanzo di M. P. Shiel presenta interessanti assonanze con la tragica avventura dell’equipaggio di sir John Franklin.
Cosa succede quando le leggi morali dell’uomo si scontrano con l’istinto di sopravvivenza? Succede che, nelle situazioni più disperate, è l’istinto di sopravvivenza a intervenire e a prendere il sopravvento, in maniera irrefrenabile e incontenibile, superando ogni vincolo sociale e barriera morale. È quanto dimostra la vicenda della spedizione polare del capitano sir John Franklin, iniziata a Londra nel 1845 con l’obiettivo di esplorare il passaggio a nord-ovest nel Nord Atlantico. La disavventura dell’equipaggio del capitano Franklin potrebbe aver ispirato, almeno in parte, “La nube purpurea“, pubblicato circa cinquant’anni dopo; si tratta di uno dei primi esempi di letteratura catastrofica.
L’ultima avventura di John Franklin e dei suoi uomini
Iniziata a Londra nel 1845, si è conclusa con uno dei più tragici epiloghi nella storia delle esplorazioni polari. Il capitano sir John Franklin e i centoventinove uomini del suo equipaggio sono tragicamente scomparsi tra i ghiacci dell’Artico. L’obiettivo della missione era quello di trovare una rotta per l’Asia, il cosiddetto “passaggio a nord-ovest”, oltre il Circolo Polare Artico. La durata prevista per la spedizione era di tre anni; tuttavia, già pochi mesi dopo la partenza, le navi si dispersero, una volta entrate nella Baia di Baffin (Canada). Da allora non si ebbero più notizie dell’equipaggio e del suo capitano.
È emblematica una lettera trovata durante le spedizioni per la ricerca di superstiti, che si sono susseguite nel corso degli anni. Datata aprile 1848, la lettera contiene una dichiarazione dell’altro capitano, James Fitzjames, in cui riferisce dell’abbandono delle navi, avvenuto il 22 dello stesso mese. Le ricerche sono poi proseguite, e sono stati diversi resti dei relitti e dell’equipaggio in vari punti dell’Artico canadese.
Attraverso l’analisi di questi ultimi, è emerso un dettaglio inquietante: gli uomini della spedizione, in un disperato tentativo di sopravvivenza, furono costretti al cannibalismo. I ricercatori vi hanno infatti ritrovato dei segni lasciati dallo stesso tipo di coltelli che l’equipaggio aveva in dotazione. Le ricerche sul DNA hanno inoltre rivelato che proprio il capitano James fu la prima vittima nota di cannibalismo.
“La nube purpurea”: l’alba del post-apocalittico
La nube purpurea è un romanzo di fantascienza apocalittica scritto da Matthew Phipps Shiel nel 1901. È considerato uno dei primi esempi di narrativa catastrofica, che vede l’umanità annientata da una misteriosa calamità globale. È il progenitore di capolavori contemporanei come “Cecità” di José Saramago o “La strada” di Cormac McCarthy.
Il protagonista del romanzo, Adam Jeffson, partecipa a una spedizione verso il Polo Nord, spinto dalla curiosità e dall’ambizione di essere il primo uomo a compiere una missione di tale calibro. Durante il viaggio, tuttavia, accadono strani eventi che si rivelano pericolosi segnali: la natura, gli animali, tutto sembra morire intorno ai coraggiosi esploratori. Nonostante numerose difficoltà, Adam riesce a raggiungere il Polo Nord, ma scopre che la sua impresa ha innescato una catastrofe: una nube tossica di colore purpureo si diffonde su tutta la Terra, sterminando l’intera umanità.
Quando Adam ritorna dalle calotte polari, scopre che è l’unico sopravvissuto. Viaggia attraverso città deserte e distrutte, testimone della morte e del silenzio che ha avvolto il pianeta. Schiacciato dalla solitudine, lotta con sentimenti contrastanti, come disperazione, onnipotenza e follia, che lo portano a commettere atti contro ogni legge morale e vincolo sociale. Durante uno di questi episodi di delirio, recupera il corpo di un essere umano morto e lo mangia.
Adamo ed Eva, Adam e Leda
Questo atto di cannibalismo simboleggia il completo degrado umano di Adam, in conseguenza all’isolamento estremo e alla consapevolezza della propria solitudine. È l’apice dell’estenuante battaglia contro la follia, la cui foga viene poi catalizzata nell’amore per Leda, l’altra sopravvissuta.
All’inizio, Adam prova repulsione e vede Leda come una minaccia alla sua solitudine onnipotente, tanto da considerare l’idea di ucciderla. Tuttavia, col tempo, accetta la sua presenza e tra i due nasce un forte legame. La loro relazione rappresenta una possibilità di redenzione per Adam e una speranza per la rinascita del genere umano: spesso, infatti, si allude all’ipotesi che i due possano diventare i nuovi progenitori dell’umanità dopo la catastrofe, come i biblici Adamo ed Eva. Il romanzo, dominato in larga parte da toni apocalittici, si conclude con un senso di speranza: l’unione fra Adam e Leda non è solo fisica, ma rappresenta anche una riconciliazione con la natura umana e una nuova possibilità di rinascita per il mondo dopo la catastrofe.