La nota band bergamasca e il romanzo di J.D. Salinger esplorano temi come il disagio giovanile, l’anticonformismo e la ricerca di autenticità, in maniera irriverente e malinconica allo stesso tempo.
“Il giovane Holden” è uno dei romanzi più chiacchierati della letteratura contemporanea. È uno di quei libri che, se qualcuno te lo chiede, molto probabilmente risponderai di averlo letto, anche se non ce l’hai nemmeno. In effetti, bisogna leggerlo almeno una volta nella vita: dalla prima all’ultima pagina, mette man mano sempre più alle corde una realtà che solo a tratti lascia intravvedere ciò che sta al di là della sua superficie, fatta di apparenze e ipocrisia. Ciò che si nasconde dietro le domeniche pomeriggio passate all’Ikea con la vostra dolce metà, i castelli di scontrini, le tovaglie coi centrini, come dicono i Pinguini Tattici Nucleari. E, quando si osserva all’interno di queste crepe, non si torna più indietro, perché ci si brucia.
Holden Caulfield, il ragazzo dai capelli grigi
All’epoca dei fatti narrati, che si svolgono presumibilmente nel dicembre 1949, Holden Caulfield è un ragazzo di sedici anni. Reduce dall’ennesima espulsione, scappa di notte dalla scuola privata che frequentava, la Pencey, e, temendo la reazione dei suoi genitori, inizia a girovagare da solo per New York. Mentre si trova nella Grande Mela, si imbatte in una serie di avventure alquanto insolite per un sedicenne: passa le giornate a fumare e sbronzarsi, frequenta night club, viene ricattato da una prostituta e da un pappone.
A prima vista, Holden può apparire come un ragazzo cinico, egoista e attaccabrighe. Man mano che la narrazione procede, tuttavia, emergono indizi sulla sofferenza endemica che lo caratterizza: rievoca spesso la figura del fratellino Allie, morto tre anni prima di leucemia, e di Jane Gallagher, un’amica d’infanzia a cui tiene molto, poiché tira fuori il suo lato più sensibile e premuroso. È evidente che Holden è un ragazzo perso, incapace di trovare un equilibrio tra il suo bisogno di appartenenza e la repulsione per una società che considera corrotta.
Un altro punto di riferimento per Holden è la sorellina Phoebe, una bambina molto intelligente e saggia, che insieme ad Allie rappresenta l’innocenza pura. Phoebe è uno dei pochi personaggi a cui Holden vuole sinceramente bene e di cui si fida. Il suo desiderio di proteggerla maschera il timore di perdere nuovamente una persona amata, e rispecchia la sua paura di crescere e di affrontare un mondo che non riesce a comprendere né a controllare. È lei che, alla fine, gli impedisce di fuggire da tutto e da tutti, e lo convince che una piccola speranza per il futuro esiste, anche se molto indistinta.
La lotta all’ipocrisia e la ricerca di autenticità
Holden è un adolescente che non riesce a trovare un suo posto nella società, che non comprende, e dalla quale si sente spesso incompreso. Vive un senso di alienazione costante, che lo pone in lotta con la superficialità del mondo adulto e lo spinge alla ricerca di qualcosa di vero. Mentre vaga per New York, riflette sul presente, sulla gente che incontra per caso e sulle persone che in un modo o nell’altro hanno fatto parte della sua vita.
Attraverso un linguaggio diretto e tagliente, Holden esprime tutto il senso di frustrazione, disincanto, solitudine e straniamento che prova in una fase molto delicata della sua vita. Si trova a cavallo fra due età, l’infanzia e l’età adulta, e, dopo l’espulsione dalla Pencey, si vede senza prospettive per il futuro. In veste di “reietto”, da un lato critica la superficialità e il conformismo della società alto-borghese da cui proviene, dall’altro il degrado e lo squallore dei quartieri più malfamati. La risposta al momento di smarrimento che attraversa viene dai suoi affetti, nei quali trova l’autenticità che non riesce a scorgere nelle cose mondane e materiali.
Gioventù bruciata, gioventù bucata, gioventù brucata
“Gioventù Brucata” dei Pinguini Tattici Nucleari riprende i medesimi temi di disillusione, pressioni sociali e ricerca di sé, che caratterizzano la generazione Z. La canzone inizia con una descrizione dei pomeriggi domenicali trascorsi all’Ikea con il proprio partner, probabilmente per comprare qualcosa con cui arredare la nuova casa, dove creare una perfetta vita insieme. Dalle notti passate ubriachi e a discutere del futuro si passa ai castelli di scontrini, le tovaglie coi centrini e le playlist dei Coldplay, per trasmettere il contrasto fra l’immagine di soddisfazione e spensieratezza che cerchiamo di dare di noi stessi, e i nostri veri bisogni e interrogativi.
Sono cose che nascondiamo, così come la paura di essere considerati volgari o offensivi, per non deludere le aspettative di una società incapace di comprendere e accettare opinioni diverse da quelle dominanti. Dopotutto, i panni sporchi si lavano in famiglia, perché casa è l’unico luogo in cui possiamo essere noi stessi senza sentirci giudicati, e ciò spesso ci spinge anche a tirar fuori il peggio di noi; motivo per cui poi le famiglie litigano, e si vestono di panni pulitissimi per coprire i propri guai. Guai che ognuno di noi fin da subito deve affrontare in amicizia e in amore, e che talvolta provocano un senso di delusione e tradimento, quando le persone a noi vicine decidono di “abiurare”, di allontanarsi e rinnegare quello che c’è stato. È ai legami passati e scomparsi che pensiamo la notte quando non riusciamo a dormire, e invece che l’agognato sonno sopraggiungono nostalgia, tristezza e malinconia.
Il ritornello ripete la frase “A voi vi chiamano, chiamano, chiamano / La gioventù brucata”. Che è una fusione fra “la gioventù bruciata” dei nostri nonni, che hanno vissuto la guerra e il boom economico, e “la gioventù bucata” dei nostri genitori, che ha vissuto una trasformazione radicale dei costumi nel corso degli ultimi, turbolenti decenni del secolo scorso. Noi, “la gioventù brucata”, siamo una generazione che si logora a suon di desideri inesauditi e sogni mai realizzati, e avverte la precarietà della realtà che ci circonda; tutto ciò ci porta a dubitare del futuro, nostro e del mondo.