L’indipendenza dell’India è stata la più grande conquista del Mahatma: scopriamo il diritto internazionale alla base di questo traguardo.
Attraverso la protesta pacifica, portata avanti in maniera rigorosamente non violenta, Gandhi ha ottenuto un risultato stupefacente sul piano internazionale. Il principio di autodeterminazione dei popoli è il fondamento giuridico sul quale l’India ha potuto raggiungere l’indipendenza.
La grande anima
Il 30 gennaio del 1948 un fanatico indù esplose tre pallottole all’indirizzo di Mohandas Karamchand Gandhi, uccidendolo. Se ne andò così uno dei più grandi pensatori e uomini politici del Novecento, vittima di quella violenza che aveva passato la vita a combattere pacificamente. Pur essendo nato in una famiglia più che benestante, le sue esperienze come avvocato inviato presso la comunità indiana in Sudafrica posero sotto i suoi occhi la profonda ingiustizia patita dai suoi connazionali di colore a causa dell’apartheid. Sviluppò così l’idea della satyagraha, ossia della forza della verità, per combattere senza violenza al fine di ottenere diritti e leggi eque per il suo popolo. Nonostante svariati periodi in carcere sia in patria che in Sudafrica, una volta rientrato stabilmente in India venne riconosciuto grazie all’eco delle sue gesta all’estero come un leader politico in grado di guidare il paese contro il potere assoluto del British Raj, il dominio britannico sulla colonia. La sua opera di protesta non violenta lo condusse svariate volte da un capo all’altro del Paese, guidando marce (la più famosa fu la cosiddetta “marcia del sale” del 1930) alla testa dei suoi seguaci. Gli sforzi combinati di decine di migliaia di manifestanti diedero frutto nel 1947, quando il Regno Unito cedette infine la sovranità al popolo indiano.
Il principio di autodeterminazione dei popoli
Dal punto di vista normativo l’ottenimento dell’indipendenza da parte di una nazione non è affatto scontato: tenendo inoltre conto del fatto che il mondo, all’epoca di Gandhi, era ancora vicinissimo alla cultura coloniale che aveva caratterizzato il XIX secolo, l’impresa era decisamente ardua nel caso dell’India. Questo genere di attitudine permaneva a causa di un retaggio plurisecolare di colonizzazione nonostante l’enunciazione del principio di autodeterminazione da parte di Woodrow Wilson nel corso della stesura del Trattato di Versailles nel 1919, al termine del primo conflitto mondiale. Secondo il principio, la comunità degli Stati è obbligata a permettere che un popolo sottoposto a dominazione straniera (o parte di uno Stato che applica l’apartheid) possa ottenere l’indipendenza, associarsi ad uno Stato già esistente o comunque di poter scegliere il proprio regime politico. Il popolo è un mero beneficiario del diritto: infatti gli obblighi che ne derivano ricadono unicamente sugli Stati della comunità internazionale. Ciò che rende particolare il principio di autodeterminazione dei popoli è la sua natura di ius cogens, ossia di norma inderogabile (nessun trattato o convenzione può quindi sospendere i diritti che ne derivano) valida per tutti gli attori della comunità internazionale.
I limiti del principio
Al fine di non renderlo un espediente sfruttabile senza alcun limite sono stati riconosciuti dei limiti per poter legittimamente applicare il principio di autodeterminazione dei popoli. La prassi infatti esclude la retroattività del principio qualora questo andasse a squilibrare situazioni territoriali stabilizzatesi in seguito ad importanti conflitti accaduti nel corso del XX secolo. In particolare è inoltre utile osservare quali conclusioni ha tratto a riguardo la Corte Suprema del Canada nella sua analisi delle richieste di indipendenza del Québec (sentenza 385/1996). Secondo la Corte, i popoli che possono avvalersi dei diritti derivanti dal principio di auto determinazione devono essere parte di ex colonie oppure essere sotto il giogo di un dominio militare straniero. Lo stesso vale per gruppi sociali a cui le autorità nazionali degli Stati in cui risiedono negano diritti effettivi allo sviluppo economico, politico, sociale e culturale. Infine, va sottolineata la mancanza di una definizione chiara di popolo: nessuna norma giuridica infatti la fornisce e questo ostacola non di poco l’applicazione di un principio i cui soggetti titolari e beneficiali sono appunto i popoli.