Poète maudit del terzo millennio: Caparezza ed il Prigioniero 709

Se Michele Salvemini, in arte Caparezza, si vedesse affibbiata l’etichetta di poeta maledetto probabilmente finirebbe per infastidirsi. Un artista del genere, infatti, non sarebbe mai e poi mai disposto a lasciarsi imprigionare in uno stereotipo, in uno standard, in un modello. Per questo motivo non basterebbe una vita per riuscire ad inquadrare  il pensiero, l’essere e lo stile di un figura così complessa. Dunque Capa ha voluto regalarci un album in cui tenta di autodescriversi, un’opera carica di introspezione che si mostra come un tentativo di decriptare il proprio io più profondo. Ciò che ne viene fuori è esattamente quello che emerge dai capolavori dei cosiddetti poètes maudit: egli mostra il proprio lato oscuro in testi che non sempre sono di facile comprensione pur mettendo in evidenza una posizione ambigua nei confronti della vita. L’album, infatti contiene canzoni tetre come “Prisoner 709” ma anche opere dal carattere allegro e in definitiva ottimista come “Ti fa stare bene”. Egli è Dottor Jekyll e Mr. Hyde, è il cantante Caparezza ma anche Michele, un uomo di quarant’anni in preda ad una crisi profonda.

 

“Non mi interessa essere capito,

mi interessa essere, capito?”

 

Questi versi tratti dall’album “Sogno eretico” ben ritraggono l’atteggiamento che il cantante pugliese ha assunto a partire dalla fine di MikiMix. Questo era infatti il nome d’arte che il giovane Salvemini aveva assunto agli albori della propria carriera e intorno al quale si era costruito una figura ben diversa da quella odierna. Se infatti in precedenza egli si era mostrato come un comune cantautore, con l’avvento del nuovo millennio e con la crescita di una nuova e vaporosa acconciatura egli si trasformò in Caparezza, l’outsider che tutti conosciamo. Attualmente l’artista è in giro per la penisola per il tour estivo di “Prisoner 709”, album dalle sfumature oscure che molto più degli altri descrive la vicenda personale  e la prigione interiore dell’autore.

Se infatti l’opera del cantante pugliese si ispira solitamente a vicende di interesse sociale, questa volta egli ha deciso di inoltrarsi negli antri più profondi del proprio essere, per esempio confessando in “Larsen” il proprio dolore causato dall’acufene, disturbo uditivo dal quale è effetto da anni, che consiste nel percepire continuamente rumori che l’orecchio interpreta come fastidiosi (fischi, ronzii, fruscii, pulsazioni, ecc.).

Dunque “poeta maledetto” oppure no?

Seppure mettere Baudelaire, Edgar Allan Poe o Jim Morrison al pari di Caparezza definendolo un poeta maledetto potrebbe sembrare eccessivo (e probabilmente lo è), appare innegabile che egli presenti dei tratti simili a questo genere di figure. Qualcuno potrebbe obiettare che il tentativo di mostrarsi anticonformisti sia ormai mainstream fra gli artisti e che dunque tanto non basti per avvicinare il pugliese a questo Olimpo oscuro. Ma la critica sociale del cantante di Molfetta spesso si discosta di molto dal genere di protesta messo in atto dalla maggioranza dei suoi colleghi; per stile, tematiche e forma.

Caparezza parla di altro. Elegantemente e in una maniera completamente nuova egli canta della schiavitù mentale, delle gabbie nelle quali ognuno di noi si autorinchiude. Lotta contro il razzismo, la massificazione dell’individuo; si oppone alla parte corrotta dello stato e alle mafie, trovando anche l’occasione per guardare nello specchio della propria anima, di mettere in atto un profondo viaggio introspettivo racchiuso nella metafora carica di solitudine della prigione e del prigioniero.

“Siamo sempre, tragicamente soli, come spuma delle onde che si illude di essere sposa del mare e invece non ne è che concubina.”

-Charles Baudelaire

 

A cura di Andrea Arrigo