L’educazione alla cittadinanza si dimostra oggi una sfida continua, una sorta di missione allo stesso tempo necessaria e impossibile. Necessaria, perché l’educazione è una finalità che legittima la funzione pubblica della scuola. Impossibile, perché il suo esito progettuale è ritenuto insoddisfacente.
Di fatto, difficilmente si riesce a formare cittadini maturi e consapevoli dei propri diritti/doveri in una società democratica. La causa di ciò è da riportare a una rappresentazione frammentaria dell’idea di cittadinanza data anche da una pluralità di concezioni relative ad essa. Il più delle volte queste concezioni sono percepite in termini contraddittori o utopici e privi di agganci con l’esperienza.
A causa di questo limite l’impegno didattico delle istituzioni scolastiche sembra rispondere solo parzialmente alla finalità specifica attribuita alla scuola. Affinché la scuola intraprenda un soddisfacente percorso formativo è necessario definire un repertorio di categorie interpretative, sia sul piano diagnostico, sia sul piano operativo.
Si potrebbe affermare che l’assenza\frammentazione del concetto di cittadinanza riscontrata negli studenti, sia il frutto della riproposizione dei conflitti, aporie censure, utopie, e delle diverse e conflittuali rappresentazioni dell’idea di cittadinanza presente nel mondo adulto.
Ma se ci si limita a incolpare l’idea di cittadinanza di pressare nel mondo adulto come causa del problema sopracitato, non si ottiene altro che un’impraticabilità della domanda di cambiamento oltre che l’impossibile efficacia del progetto di convivenza civile. Infatti, non si deve assolutamente rilevare alcuna corrispondenza deterministica tra il presente\futuro come riproduzione del passato. Questa sarebbe una semplificazione riduttiva o un’analisi parziale.

Un’accurata analisi pedagogica deve proprio partire dal carattere ideale e progettuale della dichiarata finalità di educare alla cittadinanza, una finalità sempre assegnata alla scuola. La scuola appare come un’istituzione funzionale ad un progetto di riduzione delle differenze e di assimilazione ad un medesimo universo simbolico. Secondo Elio Damiano è il curriculum implicito (organizzazione degli spazi e dei tempi che permetterà successivamente di praticare le azioni specificate nella programmazione didattica) ad esprimere in termini pedagogici il compito educativo della scuola.
Educare alla cittadinanza vuole dire fare i conti con numerosi impliciti di vario carattere. La “formazione dell’uomo e del cittadino” non è che una “sintesi universale” del bisogno educativo dell’uomo e della società.Ma tale formazione trascina con sé tutti gli impliciti e le contraddizioni della società moderna: non dimentichiamo che i processi educativi devono necessariamente tenere conto delle ideologie politiche, delle prospettive pedagogiche, delle innovazioni tecnologiche e delle trasformazioni socio-economiche.
Quindi di conseguenza tutte le contraddizioni di questi fattori rimbalzano come contraddizioni della relazione tra pedagogia e politica (già presente nella Repubblica di Platone). A tal punto che è sorto un concetto di “nuova cittadinanza“,nato dall’emergere di nuovi fenomeni socio-culturali e politici come le migrazioni internazionali o la globalizzazione.
Quindi la paideia oggi operante è partecipe e debitrice del profondo travaglio del concetto di modernità.

Secondo John Dewey l’educazione è chiamata a dare all’uomo il suo significato umano, che si dà nell’azione libera, cioè nell’azione morale, poiché non esiste libertà al di fuori del campo morale. Ed è proprio il concetto di libertà a rappresentare lo “svincolo” della persona rispetto ad ogni possibile nesso deterministico con l’ambiente sociale. L’autore ha dunque evidenziato la qualità morale dell’educazione, che garantendo libertà, evidenzia il rapporto strutturale tra la società e l’educazione.
Per Dewey risulta così fondamentale considerare la vita sociale del gruppo nel quale ci si fa carico dell’educazione delle nuove generazioni; è necessaria una valutazione concreta della qualità morale, etica dei diversi gruppi. A tal punto che stila alcuni criteri per la fondazione di una società democratica: condivisione degli interessi;libertà di interazione con altri gruppi.
Se ne ricava un punto di vista sociologico-pedagogico, contro cui combatte invece Gino Corallo,per il quale questa risulta essere una posizione metafisica, perché la finalità dell’educazione non può limitarsi all’interazione tra il soggetto e la società, ma è necessaria una continua reciprocità.
Educare alla cittadinanza dunque si potrà fare solo attraverso la pedagogia, che consente di riscoprire la dimensione etica della persona, senza ricadere nel determinismo sociologico.
«nel nostro paese la democrazia formale non è riuscita a trasformarsi in una democrazia sostanziale, calce di permeare le scelte dei comportamenti individuali e collettivi, di farsi costume civile, pratica diffusa» (Roberto Siani).
Analizzando alcuni fattori di natura ideologica e politica, ricordiamo che i confini istituzionali del mandato assegnato alla scuola devono ricondursi innanzitutto alla forma partito. Se da un lato i partiti hanno posto le premesse di una cittadinanza democratica per tutti gli italiani, dall’altro hanno contribuito a formare una forte identità di parte, generando sentimenti di appartenenza partitica che hanno sovrastato il sentimento di appartenenza comune.
In ogni caso, è la Carta Costituzionale a generare il “mito fondativo della scuola” espresso negli articoli 33 e 34: in essi sono definiti i compiti della Repubblica rispetto al diritto di istruzione dei cittadini, assegnando allo Stato il compito di riconoscere da un lato la libertà di insegnamento, dall’altro la libertà dei privati di fondare scuole ‘senza oneri per lo Stato’; inoltre si proclama la destinazione universale dell’istruzione scolastica, la cui frequenza è resa obbligatoria e gratuita fino ai 14 anni, vincolando lo Stato a promuovere l’istruzione superiore dei “capaci e meritevoli”.
In questi due articoli si trovano intrecciati gli elementi dei diversi dibattiti sulla scuola, e sulla relazione tra politica e pedagogia in Italia. Tali elementi possono offrire una definizione “democratica“degli aspetti istituzionali e ordinamentali; oltre che individuare un “nuovo progetto nazionale” dei progetti scolastici della scuola italiana post-bellica e post-fascista.
Sul piano politico il tema è tuttora foriero di conflitti aperti. Perché entra in gioco il conflitto radicale tra una definizione di “democrazia delle istituzioni” (libertà di istituire scuole paritarie) e una definizione di “democrazia nelle istituzioni” (garantire pari opportunità e uguali diritti e doveri). Secondo Michele Caputo, tuttavia, il “nucleo generativo” più fecondo della relazione tra politica e pedagogia va individuato nel compito affidato alla Repubblica di promuovere il diritto all’istruzione.

A tal proposito possiamo ricordare alcune modifiche, e le corrispettive riforme, che sono state apportate nel tempo, anche perché fino agli anni Novanta la pedagogia accademica italiana ha sostanzialmente patito una rigida suddivisione ideologica tra i diversi ordinamenti presenti anche sul piano politico:
- riforma della scuola media unificata del 1962;
- riforme dei programmi della scuola media nel 1979 e elementari nel 1985;
- nel 1947 l’allora Ministro della pubblica istruzione, Guido Gonella, istituì una Commissione nazionale incaricata di condurre un’inchiesta sullo stato della scuola italiana. I risultati pubblicati hanno denunciato una matrice culturale di derivazione idealista.
Una prima linea di posizionamento del rapporto tra scuola e democrazia va quindi individuata proprio nel concepire la scuola diversamente rispetto all’impianto di Gentile:da una scuola finalizzata a scegliere i migliori per riprodurre il ceto dirigente ad una scuola di ampia durata per tutti.
Non dimentichiamo che durante il processo di fascistizzazione della scuola, forte era stato l’asservimento politico ideologico della scuola al regime fascista; perciò alla fine della seconda guerra mondiale pesava ancora il ricordo dell’uso politico della scuola fatto dal fascismo. Così come pesava la consapevolezza della grave mistificazione penetrata dal regime di Mussolini dell’idear di “scuola formativa del cittadino“.La scuola è la prima ad essere indicata come campo da ‘bonificare’ dagli influssi fascisti, si richiede un “compito di liberazione totale”.

Posizioni culturali e ideologiche contrapposte sono rimaste presenti nella società italiana, nei decenni che accompagnano lo sviluppo del sistema scolastico. Diffidenze e contrapposizioni che hanno segnato e accompagnano la stessa gestazione dell’introduzione all’insegnamento dell’educazione civica.
L’istanza del neutralismo educativo scolastico evocata dal precedente intervento, può rappresentare una chiave di lettura adatta a farci cogliere alcune linee di sviluppo della storia della scuola italiana nel secondo dopoguerra. Anche il clima conflittuale avviato dal ’68 sembra essere giustificativo dell’opzione neutralista, dominate nella rappresentazione comune del compito e dell’identità del docente.
Rispetto al pluralismo ideologico della società, il “neutralismo educativo” protegge l’Io immaturo dalle contraddizioni ideologico-politiche, ma allo stesso tempo se assolutizzata anche questa rappresenta una “verità impazzita”. “Neutralizzare” il concetto di istruzione, negli ultimi decenni ha significato fornire degli strumenti agli studenti. Il neutralismo ha condotto a una sorta di agnosticismo morale, per cui tutte le posizioni finiscono con equivalersi. e per il quale si genera una paideia incompiuta.
Nella formazione data dalla scuola permane dunque una concezione ‘istruttivista’, nonostante la reintroduzione del tema delle educazioni, e in particolare dell’educazione alla cittadinanza e alla convivenza civile, a partire dagli anni Novanta. L’idea che la scuola quando insegna efficacemente, educa anche alla cittadinanza, porta a comprendere che l’educazione alla cittadinanza sia incompatibile con il modello pedagogico di istruttivismo neutrale.
Perciò sono necessari orizzonti di senso condivisi, valori motivanti esplicitati e un consenso sociale relativamente generalizzato a supporto dell’azione della scuola.