Il regista per eccellenza. Fellini muore a Roma il 31 ottobre del 1993, ormai simbolo del cinema più affabulato.
Federico Fellini nasce il 1920 a Rimini, sin da giovane comincia a lavorare come disegnatore di vignette alla “Domenica del Corriere”. Si trasferisce a Roma poco dopo e, sebbene l’idea iniziale fosse quella di iscriversi a Giurisprudenza, finirà a frequentare il mondo dell’avanspettacolo.
Un cinema di finzione
Federico Fellini si forma nell’Italia nel Neorealismo, quindi nell’Italia degli anni Cinquanta. Il suo cinema è particolare, il suo modo di rappresentare è particolare, lo si potrebbe definire quasi barocco e debordante. L’ambiente era quello del Neorealismo radicale e il suo maggiore maestro e ispiratore e Rossellini, con il quale stringe anche un sodalizio. Da qui il germoglio del Fellini debordante di cui si parlava prima, da qui il suo cinema altamente particolare. Passati gli anni dell’apprendistato e della stesura di alcune sceneggiature per altri registi come Germi e Lattuada e finitele prime due trilogie che segnano la sua prima produzione, il suo stile comincia a variare. Vengono abbandonati i canoni del primo Neorealismo e vengono aggiunti nuovi elementi, molto più vicini alla poetica e al lirismo di maniera. Non manca una forte dose di moralismo che serve per incrementare il coinvolgimento dello spettatore nei confronti dell’opera.
I primi film e l’aspetto autobiografico
Fellini apre la sua produzione nel 1951 con il film d’esordio Luci del varietà. Ne seguiranno altri due, nati nei successivi due anni. Vengono fuori aspetti molto forti, di vita vissuta, di autobiografismo. Sono aspetti che Fellini coltiva tra i suoi ragazzi fannulloni, tra le disavventure del quotidiano, in cui la provincia ha la meglio. Questa prima trilogia ne sorregge una seconda, questa volta nata tra il 1954 e il 1957. Il primo dei tre film, La strada, è reputato un grandissimo successo, tanto da far conferire all’autore il primo dei suoi cinque oscar. Qui il fallimento morale e i ricordi di infanzia continuano a intrecciarsi tra di loro e diventando colonne della sua produzione.
Un nuovo atteggiamento
Come in ogni percorso artistico e di vita, nella produzione di Fellini si avverte una certa cesura, all’altezza degli anni Sessanta. Proprio nell’apertura di questi nuovi anni, qualcosa cambia: Fellini ha altre esigenze, altri bisogni e riesce a concretizzarli tra le sue imagini e le sue storie. Palma d’oro a Cannes, arriva La dolce vita, del 1960. È la condensazione della situazione autobiografica ed emblematica di Fellini. Sì ai personaggi, sì all’interdipendenza, ma sì anche alle peregrinazioni personali, all’intimità di un diario, a tutti i progetti intellettuali falliti. La rappresentazione è articolata, prospettica, molto contraddittoria. Da qui, altri grandissimi titoli, come Otto e mezzo, fino ad Amacord, lontano esattamente dieci anni. Dai discordi politici a quelli sociali, dall’estro alla fantasica, dalla vita quotidiana fino all’intima narrazione di sé stessi. Fellini è riuscito a fare di tutto questo un percorso, una serie di opere. Fellini è riuscito a raccontare e a raccontarsi in chiavi poco comuni, inusuali, dando al Cinema italiano una forza e una forma, fino a quel momento, sconosciute.