Cosa accade quando la paura e la discriminazione vengono utilizzate come forma di supremazia? Partendo dalla polemica per le parole del Ministro Maovero Milanesi e arrivando all’altra faccia della discriminazione, vedremo quali benefici la essa può portare a chi la strumentalizza per detenere il controllo.
Sembra siano queste le parole con cui i nostri connazionali venivano descritti dall’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano nel primo ventennio del Novecento. Sono frasi che hanno fatto il giro del mondo: sono state utilizzate come prova di poco rispetto nei confronti del nostro Pease, come eco di una coscienza che pare scomparsa, come metro di paragone tra chi le cose “se le è sudate” e chi “trova tutto pronto e nemmeno ringrazia”. Tra le diverse polemiche che negli ultimi anni sono arrivate alle nostre orecchie, dopo la notizia dell’uovo lanciato a Daisy Osakue, giungono anche le parole del ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi.
Il disastro di Marcinelle e lo zampino della politica
Nella città belga l’8 agosto del 1956, morirono in miniera quasi trecento operai a causa di un incendio. 136 di loro erano italiani. Nel commemorare i lavoratori, mentre le campane di Marcinelle rintoccavano, il Ministro degli Esteri ha ricordato una parte della nostra storia: l’emigrazione.

Le parole di Maovero hanno risuonato più forti e veloci di quei 262 rintocchi, e le opinioni politiche non si sono fatte attendere. Sono state accolte dagli esponenti della Lega che le hanno definite un paragone “poco rispettoso della verità, della storia e del buon senso”, spiegando che gli italiani immigrati in America non ricevevano trattamenti di favore né agevolazioni. L’immigrazione torna a far parlare di sé e anche questa volta diventa uno strumento politico.
Discriminare per vivere felici
La discriminazione e lo stereotipo sono strumenti difficili da fronteggiare e spesso sembrano invisibili. Sono forme di semplificazione del mondo e sono così radicati nella nostra cultura che agiscono in maniera meccanica ed inconscia. Entrambi nascono necessariamente da un confronto tra il gruppo sociale di cui si fa parte e gli altri gruppi sociali. Entrando nello specifico della discriminazione razziale, questo incontro comporta che etnie diverse da quella di appartenenza vengano sminuite, usate come capro espiatorio, o come distrattore.

Infatti “puntare il dito” è sempre più facile che analizzare, accettare e provare a risolvere le problematiche interne al gruppo. Distogliere l’attenzione dai problemi, concentrandosi su effimere preoccupazioni di cui non si ha (e non si cerca) la soluzione, è un ottimo modo per incanalare la frustrazione e sfogarla.
La discriminazione è un potente strumento di distrazione per un ampio pubblico demoralizzato e insoddisfatto, per questo è così usuale vederla all’opera nella politica. L’odio che ha accompagnato diversi governi nella storia alto non fa che celarsi dietro un velo di falsa empatia e condivisione. Ascoltando le parole con cui Francesco Lollobrigida (capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia) definisce “inutile” e “fuorviante” il discorso di Moavero, tutto diventa più comprensibile: “Gli Italiani che emigrarono hanno portato lavoro e qualità e chi ci ha ospitato ha preteso che rispettassimo fino all’ultima regola, perseguitando correttamente chi non lo fece.”. L’immigrazione non è un problema se si hanno i giusti strumenti per gestirla. La discriminazione e l’odio, tanto quanto la paura non sono necessari se l’opera d’integrazione è buona e funzionale.
Ma forse, ancora oggi, nel nostro Paese non lo è.
Valentina Brina