L’incontro tra cinema e psicologia: le tecniche per innescare la suspense nel pubblico

Il cinema come palestra delle emozioni dell’uomo: il caso dell’acclamata serie TV HBO, True Detective.

Spesso pensiamo di non essere fatti per i film horror, per i noir o per i thriller psicologici perché ci riteniamo facilmente impressionabili.
La verità è che l’ansia, come la paura, non è necessariamente uno stato patologico ma un meccanismo di autodifesa davanti alle sfide.
Sta quindi al film, alla sua struttura narrativa, alle tecniche di ripresa e ai meccanismi di resa della suspense, riuscire a innescare in noi quel senso di ansia e angoscia, di paura, dalla quale non scappiamo grazie all’attrazione inconscia per il rischio.

Il cinema come palestra per le nostre emozioni

L’uomo è fatto di emozioni. Fin da quando siamo piccoli impariamo a riconoscerle e ad assimilarle, le sviluppiamo dentro di noi. La gioia, la tristezza, l’ansia, il senso di colpa, la paura…
Sono tutte emozioni che proviamo grazie alle esperienze di vita che affrontiamo quotidianamente ma anche attraverso mezzi che innescano in noi tali sensazioni, magari che abbiamo anche già vissuto.
Ne sono esempio i prodotti mediali che si sono diffusi nelle pratiche di consumo contemporaneo.
Pensiamo a quante volte abbiamo pianto davanti a un film romantico, desiderando la stessa storia d’amore; alle volte che abbiamo riso davanti una commedia o urlato dalla paura per un horror.
Ed è proprio la paura, sentimento che si innesca in noi in presenza di minacce certe, che può aprirsi a un range di maggiore indeterminatezza in presenza di incertezze e insicurezze, trasformandosi quindi in ansia.
Quest’ultime, insieme alle tensioni in generale, costituiscono le sensazioni evocate dal genere crime e thriller, attivate grazie alle componenti visive e sonore minacciose dell’audiovisivo.

Le teorie intorno alla suspense

Il thriller viene definito, più o meno dai tempi dell’uscita di Psycho, come quelle storie che riescono a farci provare un brivido di tensione.
Nel secolo scorso, conseguentemente al successo di questo genere, studiosi ne hanno studiato le caratteristiche, sviluppandovi attorno diverse teorie.
Si era giunti quindi alla conclusione che ad avere una certa rilevanza sullo spettatore fosse proprio questo brivido, l’amore e l’attrazione per il rischio, la mescolanza di paura, piacere e ansia.
Questa sensazione di suspense e il paradosso che la riguarda diventarono oggetto di attenzione di molti studiosi. Il fatto che questa si verificasse nello spettatore anche davanti a storie già vista o a prodotti di scarsa qualità li portò a interrogarsi sui meccanismi che la innescano.
Secondo Sternberg questa veniva generata dal gap tra ciò che ci viene narrato e ciò che noi prevediamo possa accadere; Lothar Mikos riprende gli studi di Balint, concludendo che la suspense derivi dalla paura e dal piacere di controllare la stessa; al contrario Aron Smuts immagina che derivi dalla frustrazione di non poter intervenire nella narrazione.
Se ne deduce che la suspense sia qualcosa di controllabile, il cui innesco nello spettatore dipende dalla struttura narrativa e dalle componenti visive e sonore degli audiovisivi.
Sono tali meccanismi a far funzionare serie televisive come True Detective, riuscendo a innescare nel pubblico il senso di ansia e angoscia anche in chi pensa di esserne immune.

Il caso di True Detective, Stagione 1

Meccanismi come la suspense classica, scaturita dal divario tra ciò che sanno i personaggi e ciò che sanno gli spettatori; dispositivi percettivo-cognitivi che sfruttano come trigger il riconoscimento di minacce nel campo visivo e sonoro; il visual design nero; il low-key lighting; la resa dello sguardo e le varie tecniche di ripresa; i corpi… sono tutti meccanismi di attivazione della suspense che possiamo ritrovare in True Detective. La prima stagione della serie televisiva uscì su HBO nel 2014, scritta interamente da Nic Pizzolatto.
Già con la sequenza dei titoli, la serie pone lo spettatore nel mood tipico del noir. Il susseguirsi di immagini che si sovrappongono fra loro, come nella dimensione del sogno; il visual design nero; la ripresa nelle immagini di frammenti che ritroveremo più avanti nella seria, alle quali non sappiamo ancora dare significato; il richiamo al consumo di narcotici, alla religione, alla violenza. Il tutto accompagnato da una ballata, Far From Any Road di The Handsom Family; l’uso di chiaroscuri, di un forte contrasto bianco/nero e di toni sul seppia.
Tutto ciò, già solo nella sequenza dei titoli, innesca nello spettatore un sentimento di angoscia che culmina poi con un vero e proprio shock percettivo, dato dall’attacco in nero del primo episodio dal quale emerge un’ombra nella notte che appicca un incendio.
È dal buio, infatti, che emerge la minaccia.

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